Sanità / La storia

La mamma che non può lasciare mai il suo bimbo: «Con lui sempre»

Un travaglio durato troppo a lungo con conseguenze gravissime: «Delusa dal S. Chiara». Ma niente rabbia e un sorriso non manca mai

di Patrizia Todesco

TRENTO. Ha bisogno di essere accudito 24 ore su 24 il piccolo Marco (il nome è di fantasia per volontà della famiglia), di assumere 29 farmaci ogni giorno, di essere nutrito attraverso la Peg (una sonda per alimentazione direttamente nello stomaco), di essere lavato, cambiato e spostato dal letto all'apposita sedia ogni due ore.

Lui non parla, non si muove, sente poco e non riesce a comunicare in nessun modo. Eppure entrando nella casa dove vive insieme alla mamma, al papà e al fratellino più piccolo non si respira un'aria di tristezza o di rabbia come si potrebbe invece immaginare.

Certo la fatica si avverte, anche l'enorme sacrificio che ogni componente fa per garantirgli una vita dignitosa è evidente, ma il sorriso non manca mai sul volto dei componenti di questa bella famiglia che nelle scorse settimane - sostenuti dall'avvocato Franco Busana, hanno chiuso la loro battaglia giudiziaria.

Il giudice civile ha dato loro ragione obbligando l'Azienda sanitaria a versare 2,5 milioni di euro, la cifra più alta mai pagata fino ad ora, per i danni da parto. «Dovevano fare prima il taglio cesareo», taglia corto la mamma. Il 5 dicembre del 2012 il travaglio è durato troppo a lungo e le conseguenze per il piccolo sono state gravissime. «Avevamo desiderato tantissimo questo bambino. Ci provavamo da sei anni. Quando mi sono resa conto di essere incinta eravamo al settimo cielo».

Ora sono passati dieci anni dall'arrivo di questo bambino. Dieci anni di cure, ricoveri, assistenza. Potrebbe scrivere un libro di disavventure questa mamma che però non si è mai persa d'animo e anzi, continua a baciarlo il suo bambino con un affetto e un amore che è uguale a quello del primo giorno, quando glielo hanno messo in braccio per la prima volta. Così come ama il suo secondo bambino, nato due anni dopo. «Con un taglio cesareo - puntualizza subito - perché non volevo altri problemi. Se non fosse successo quello che è successo di bambini ne avrei voluti quattro, cinque. Li adoro».

«È un guerriero - dice mentre inietta nella Peg i fermenti lattici - Nella pancia continuava a muoversi. Poi lui è davvero unico. Non risponde alle terapie come gli altri bambini e per questo su di lui c'è sempre un grande punto di domanda. La mia speranza è quella di diminuire le medicine che prende perché adesso davvero i ritmi della giornata sono segnati dalle terapie e da tutto quello che c'è da fare per lui». Questa mamma speciale di giorno è operativa dalle 6 del mattino, quando inizia la prima somministrazione, fino alla sera. Di notte dorme in soggiorno, insieme a lui. «Perché ha un problema di catarro e ho paura che gli vada di traverso, per questo preferisco stargli sempre vicino».

E sempre vuol dire proprio sempre. «Dall'ultima volta che sono andata a mangiare la pizza con mio marito, io e lui da soli, sono passati più di quattro anni. Era il nostro anniversario di matrimonio ed era venuta mia mamma ad aiutarmi, ma poi anche in quell'occasione eravamo dovuti tornare a casa di corsa per una piccola emergenza». Anche in ferie questa famiglia sono anni che non riesce ad andare. «Come facciamo a fare un viaggio con tutte queste medicine. Sinceramente io non riesco nemmeno andare a farmi un giro per i negozi. Compro tutto on line. E da quando l'altro mio figlio va alle elementari non sono nemmeno mai riuscita ad andare a prenderlo a scuola. All'asilo invece ero andata a prenderlo tre volte».Parla come se quello che sta facendo non fosse qualcosa di eccezionale questa donna.

«Le prime settimane dopo la nascita ero disperata. Poi ho capito che piangere non sarebbe servito a niente. Che dovevo solo rimboccarmi le maniche». E sia lei che il marito non si sono mai tirati indietro. Non solo nelle cure giornaliere. Ma anche nelle tante emergenze che in questi anni hanno dovuto affrontare. «Quando aveva un anno e mezzo abbiamo dovuto gestire una gravissima crisi epilettica. Ora l'epilessia la teniamo sotto controllo con un farmaco. Sei anni fa gli hanno messo la Peg ma non è andato subito tutto liscio. Dopo un giorno ci è scoppiato praticamente il palloncino e siamo dovuti correre al Pronto soccorso».

E poi ancora una frattura di femore durante una crisi, uno shock anafilattico quando ancora mangiava senza Peg, tanti episodi di febbre senza spiegazioni e quel catarro difficile da gestire.«Non posso portarlo fuori di casa perchè gli da molto fastidio la luce e basta niente perché si ammali. La nostra vita è qui. In questa casa. Ora, dopo il risarcimento probabilmente riusciremo a trasferirci in un'altra. Ma non cambierà null'altro. Tanti mi dicono che dovrei farmi aiutare ma non credo che nessuno sia in grado di fare quello che faccio io. Non lo dico per presunzione, ma perché è così. Io conosco mio figlio. So i suoi bisogni, faccio ormai in automatico tutte le operazioni di cui ha bisogno. Anche se dovessi chiedere a qualcuno di sostituirmi per qualche ora sarebbe difficile. E comunque non voglio farlo. Mi fido solo di mio marito ed è lui l'unico in grado di sostituirmi per alcune cose. É vero che io sono sempre qui, a casa con lui, ma fortunatamente ci sono tante persone che ci vogliono bene, che passano a trovarci. La mia porta è sempre aperta a chiunque voglia venire. Poi vengono i medici delle cure palliative, anche più volte a settimana. L'assistenza è ottima».

Quando parla del medico e delle ostetriche che l'hanno assistita durante il parto al S. Chiara il suo tono cambia. Niente rabbia, ma delusione sì. «Avevano appena chiuso il punto nascita del S. Camillo e c'era tanto lavoro. Ho sentito che ci sono stati tanti errori in quel periodo, ma nel nostro caso nessuno ha ammesso di aver sbagliato. Anzi. La causa penale è stata una delusione. Poi fortunatamente in sede civile è andata diversamente. Io non auguro del male a nessuno, non ne vale la pena. Ma la vita è una ruota che gira».

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