Felicetti: “Costo della vita da noi più alto che altrove, pensiamo a modi per alzare le retribuzioni”
Il numero uno dell'omonimo pastificio fiemmese: “Noi stiamo valutando assieme alle sigle sindacali di integrare il contratto con un accordo di secondo livello che dovrebbe prevedere dei bonus anche per quanto riguarda l'aspetto del welfare”
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TRENTO. Piano a dire che le imprese locali non fanno innovazione e che si limitano a cercare di essere competitive solo sul piano dei costi a discapito dei salari. Riccardo Felicetti, numero uno dell'omonimo pastificio fiemmese, non è molto d'accordo con la tesi presentata dal professor Paolo Barbieri a commento dell'indagine promossa dai sindacati sul livello dei redditi da lavoro in Trentino.
Felicetti, in quello studio si sostiene che da noi le retribuzioni sono decisamente più basse di quelle altoatesine e ormai livellate in basso verso la media nazionale. È effettivamente così?
«Non ho molte informazioni sul livello delle retribuzioni nelle altre zone d'Italia perché sul tema non mi sono mai confrontato con i miei colleghi imprenditori. Sicuramente è vero che in aree come la nostra il costo della vita è più alto che in altri territori e questo si fa sentire sul portafogli dei lavoratori».
Voi come azienda siete intervenuti in qualche modo per sostenere il reddito dei vostri dipendenti?
«Direi di sì. Credo di poter dire che le nostre retribuzioni siano adeguate allo standard locale. A prescindere dall'ovvio rispetto del contratto nazionale dei mugnai e pastai ci sono delle condizioni che devono considerare il territorio in cui viviamo. Per questo noi abbiamo inserito in busta paga delle poste che servono come integrazione con miglioramenti salariali, per esempio per le ore lavorate nei week end. Inoltre stiamo valutando assieme alle sigle sindacali di integrare il contratto con un accordo di secondo livello che dovrebbe prevedere dei bonus anche per quanto riguarda l'aspetto del welfare».
Il professor Barbieri sostiene che in Trentino, come del resto in tutta Italia, le imprese facciano competizione sui costi più che non sull'eccellenza della produzione o dei processi. È così?
«La storia della nostra azienda dice esattamente il contrario e probabilmente come noi sono tante le realtà trentine che hanno una tradizione diversa da quanto dice il professore. Ritengo per altro che il mercato nazionale ed internazionale, viste le condizioni attuali socioeconomiche, spinga verso una riduzione dei costi aziendali. Se riguardano materie prime, servizi o personale, questo fa parte delle strategie delle singole imprese. Dunque non sono d'accordo in linea di principio con il professor Barbieri anche se posso immaginare che certe aziende nella riduzione dei costi trovino opportunità di restare sul mercato che altrimenti non avrebbero».
È vero che c'è mancanza di innovazione nel comparto industriale locale?
«Ritengo che il Trentino esprima delle eccellenze per quanto riguarda innovazioni di prodotto e di processo. Poi se vogliamo considerare determinati comparti economici che sono piuttosto importanti in Trentino credo che sia difficile fare innovazione. Mi riferisco, per esempio al settore turistico, dove è complicato innovare dal punto di vista strutturale, mentre è molto più facile farlo nel mondo dell'hi-tech. Però è anche vero che nel turismo gli investimenti si fanno: basti pensare alla tecnologia che c'è dietro i più moderni impianti di risalita. Personalmente ritengo il Trentino una delle aree che esprime più capacità innovative, anche perché i mercati dove siamo presenti lo richiedono».
Perché, allora, esiste questo gap salariale con territori attigui come l'Alto Adige o il Nord Est?
«Sinceramente non me lo spiego. Anche perché mi sembra che il mercato del lavoro sia in un momento in cui l'offerta di lavoro è più alta della domanda. Quindi dovrebbero esserci condizioni tali da andare a vantaggio dell'aumento delle retribuzioni».
Secondo lei politica provinciale e le parti sociali possono muovere qualche leva per migliorare il livello delle retribuzioni?
«Non credo esistano strumenti locali che possano spingere efficacemente un cambiamento di rotta. Secondo me sono la congiuntura commerciale e produttiva, che dipendono da dinamiche nazionali o addirittura internazionali, che possono far crescere le aziende e quindi la loro capacità di remunerare il lavoro».