L'appello di Marco Ioppi: «Nuovo ospedale di Trento, adesso è indispensabile muoversi velocemente"
Parla il presidente dell’Ordine dei medici del Trentino: siamo soddisfatti per la scelta di andare avanti con un cronoprogramma preciso, necessaria la scelta del commissario
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SCELTA Perché la Provincia ha annullato l'appalto
RITARDI La storia infinita del nuovo ospedale
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TRENTO. «Bene questo primo passo sul nuovo ospedale. Avevamo chiesto, come Ordine, due cose: un commissario e un cronoprogramma, che dia un orizzonte ai pazienti e agli operatori, che capiscano tra quanti anni lavoreranno in un ospedale moderno».
Il presidente dell’Ordine dei Medici Marco Ioppi, sul futuro nuovo ospedale trentino, per la prima volta dopo qualche anno mostra segni di speranza. La giunta provinciale ha annunciato venerdì il cronoprogramma per il Nuovo polo sanitario e universitario di Trento, su cui vigilerà il commissario Antonio Tita: entro luglio 2024 l’affidamento dell’incarico del progetto di fattibilità, entro settembre 2025 la gara per l’appalto integrato, entro 2030 la fine dei lavori. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo almeno 250 milioni che mancano - a bilancio ce ne sono 300, ma le prime stime parlano di 550 - e un’immensità di ostacoli.
Ma il cronoprogramma dà il senso di una scelta politica: al di là dell’incertezza dei ricorsi, si procede con i lavori. Ed è questo il segnale che aspettava Ioppi. Che dopo una settimana in cui di sanità si è parlato per evidenziare le crepe del sistema, ha trovato un motivo se non di ottimismo, per lo meno di speranza.
«Noi come Ordine avevamo chiesto un atto di coraggio. Nonostante i ricorsi, chiedevamo di andare avanti e proseguire per un obiettivo che è prioritario. Perché il rischio, nel caso si aspettasse ancora, è quello di dover spendere molto più quanto semmai dovremmo pagare per risarcire i ricorrenti».
Quindi la giunta provinciale che va avanti è una buona notizia.
«Sì. E un’altra buona notizia è che abbiano deciso di nominare un commissario. Da tempo, come Ordine, diciamo che se vogliamo vedere realizzata quest’opera dobbiamo toglierla dall’iter ordinario. Chiedevamo di avere un commissario con potere di superare alcuni normali ostacoli burocratici. Questo permette celerità di azione».
Per ora c’è solo il cronoprogramma. Sono date messe sulla carta.
«Sì, ma è quello che chiedevamo. Perché era importante avere una road map da seguire, per fare in modo che tutti potessimo confrontarci sulle scadenze. Ormai in ospedale i più pensavano che non ci sarebbe mai stato un nuovo ospedale».
Il S. Chiara è uno dei motivi che possono convincere un medico a scegliere un’altra sede di lavoro?
«Sì. Ma se sanno che tra 6-7 anni ci sarà un ospedale nuovo, possono essere invogliati a venire da noi».
Come categoria attendete di essere coinvolti nelle scelte sul progetto?
«Per quanto riguarda le nostre competenze, possiamo essere d’aiuto. Quello che è accaduto, ci dà per lo meno un vantaggio: l’ospedale sarà pensato dopo le esigenze emerse durante il Covid. Avessimo costruito altro, sarebbe nato già vecchio. L’importante, ora, è che i sanitari dicano la loro opinione, attenti a costruire un ospedale a misura dei pazienti e di una sanità moderna, non di disegni individuali di qualcuno che ora lavora in ospedale. Serve una visione d’insieme di lunga scadenza».
Certo, resta il tema dei soldi necessari: 550 milioni sono tanti.
«Se pensiamo a quanti soldi abbiamo speso in questi 12 anni e quanti non programmati che dovremo tirare fuori, capiamo che la sanità deve essere la priorità e le risorse vanno trovate. Si tratta di vedere quei soldi non come una perdita, ma come un investimento. Quel che investiamo in sanità ha un ritorno di 4-5 volte, quel che investiamo in prevenzione anche di 10. Perché una popolazione sana e ben curata lavora meglio, per esempio».
Capitolo Santa Chiara. Reggerà? Sono annunciati 35 milioni di interventi, ma basterà?
«Tanti ospedali sono un cantiere continuo. Il problema non è avere ancora interventi. Quel che fa la differenza è che gli operatori sappiano che alla fine di un periodo più o meno lungo, lavoreranno in un ospedale moderno. Il problema è l’incertezza».
Questa è stata la settimana in cui gli operatori sanitari si sono mobilitati per denunciare il rischio declino della sanità pubblica.
«La sanità è in crisi, la colpa non è di questo assessore né di quello precedente, ma di una concezione, tipica italiana, per cui il denaro speso in sanità è sprecato. Col risultato che dagli anni Novanta quando si doveva tagliare si è tagliato lì: posti letto, personale. Gli organici sono ancora fermi all’era pre Covid, e non può bastare. Il tetto di spesa per il personale è ancora fermo lì, e non può andare bene così».
Qual è il rischio maggiore oggi?
«Il rischio è quello di una sanità diseguale, sempre più persone non riescono a curarsi perché non ne hanno la possibilità. La scorciatoia che l’attuale gestione trova per risolvere i problemi è quella di dare incarico al privato. Che va bene, non va demonizzato. Ma va attentamente controllato, serve una regia pubblica, deve seguire i principi fondanti del servizio sanitario nazionale».
E la priorità oggi?
«Recuperare l’affezione del personale».