Processo perfido: le infiltrazioni della 'ndrangheta in Trentino avrebbero potuto espandersi in altri settori
È uno dei punti emersi dalle motivazioni contenute nella sentenza della Corte d'assise di primo grado, riguardanti otto condanne in uno dei filoni del procedimento giudiziario. «La "locale" trentina era in espansione», ma è stata bloccata dalle indagini
LA SENTENZA Infiltrazioni mafiose nel porfido trentino: le condanne
POLITICI Fugatti: massima attenzione contro il crimine organizzato
Perfido Condannato a 12 anni, potrà tornare a lavorare in val di Cembra
TRENTO. Le infiltrazioni mafiose avrebbero potuto espandersi e mettere radici anche in altre attività economiche oltre a quella del Porfido, se non fossero state bloccate dalle indagini. È questo uno dei punti emersi dalle motivazioni contenute nella sentenza della Corte d'assise di primo grado, depositata pochi giorni fa al Tribunale di Trento, su uno dei filoni del processo Perfido riguardo le infiltrazioni di stampo 'ndranghedista in Trentino.
Si era parlato di «sentenza storica» il 27 luglio scorso, quando gli otto imputati che avevano scelto il rito abbreviato erano stati tutti condannati: un totale di 76 anni di pene inflitte, 12 in meno rispetto a quelle chieste dai pubblici ministeri Licia Scagliarini, Davide Ognibene e Maria Colpani. Ora, con le motivazioni depositate, vengono resi noti nuovi elementi.L'inserimento nella realtà trentina.
Partiamo dalle origini. Il tutto prende il via da un'analisi di elementi, alcuni già noti alle forze dell'ordine, che ha dimostrato «l'insediamento nel tessuto sociale trentino (già da qualche decennio) di una serie di soggetti di origine calabrese, per lo più legati da rapporti parentali (i quali erano pregiudicati ovvero intrattenevano contatti con soggetti pregiudicati o di provata reputazione malavitosa) e che si erano inseriti in varie attività economiche, essenzialmente ma non solo nel settore delle cave di porfido situate in Val di Cembra», si legge nel documento. Stando a quanto riportato l'attività investigativa dei carabinieri ha perciò condotto all'identificazione di una «cellula 'ndranghetista detta "Locale", radicata soprattutto il Val di Cembra».
Un'infiltrazione «nel tessuto sociale e produttivo trentino» che inizialmente è avvenuta in modo «silente», tramite «l'acquisizione di attività economiche lecite sia pure attraverso l'utilizzo di liquidità e denaro di provenienza presumibilmente illecita». Da alcune conversazioni intercettate si parla chiaramente di «soldati» in riferimento agli associati. In Trentino la cosca che mantiene «strettissimi e costanti contatti con consorterie 'ndranghetiste calabresi, si concretizza nella fase iniziale in un'area territoriale delimitata, cioè quella della Val di Cembra e del Comune di Lona Lases». Tutto attraverso il controllo del cosiddetto "oro rosso".
È proprio qui che «si estrinseca quella efficacia intimidatrice e di controllo del territorio». Dalle indagini si evince però anche «come la Locale trentina fosse in una fase "espansiva", in quanto stava operando attivamente per realizzare l'acquisizione e lo sviluppo di ulteriori attività imprenditoriali, anche in settori diversi da quello tradizionale dell'estrazione del porfido», viene scritto dalla Corte. Un controllo ottenuto anche «grazie alla condotta compiacente della Stazione locale dei Carabinieri», sia tramite «metodi gravemente intimidatori» che attraverso «l'acquisizione di cariche amministrative comunali».Le cosche e gli incontri in Trentino. Tre sono le cosche di riferimento citate: Serraino, Iamonte e Paviglianiti. E chiara sembra essere «l'abituale frequentazione del sodalizio criminale che sistematicamente si riunisce tramite incontri conviviali anche nei casi in cui un esponente del sodalizio criminale venga in Trentino».
Emerge quindi che «tali soggetti si sono sempre presentati da Macheda (definito dalla Procura capo dell'associazione locale ndr)».
La Locale trentina. L'organizzazione trentina aveva però acquisito «oramai da anni una propria autonomia sul territorio provinciale». Viene infatti dimostrato come la stessa «disponga in Trentino di una struttura organizzativa, dotata di uomini e armi, oltre che di mezzi economici». Cosa che «viene ribadita in molteplici intercettazioni». A conferma di ciò una conversazione di ottobre 2019 tra Costantino e Arfuso riportata nella sentenza, «nel corso della quale quest'ultimo parla espressamente dell'esistenza di una "Locale" in Trentino gestita dal Macheda con le medesime modalità con cui lui gestiva quella esistente in Calabria (deve capire come la gestivo io la locale, la gestisce lui, Cecio)».
Aiuti agli associati. Emerge così «la connessione degli imputati con esponenti dell'ndrangheta calabrese» anche «dal rapporto di mutua assistenza di altri solidali, effettuata sia attraverso la corresponsione di somme di denaro e sussidi ai detenuti, sia attraverso il rinvenimento di posti di lavoro, necessari per ottenere vantaggi, anche sotto il profilo processuale». Aiuti che «si caratterizzano per un'assistenza prestata direttamente ad un altro associato».
Contatti con ambienti politico-istituzionali. Stando alle motivazioni contenute nella sentenza l'organizzazione non sembra essere inserita soltanto nel «tessuto economico-sociale della Provincia, ma è particolarmente attiva anche nell'intrattenere rapporti con figure politiche o istituzionali, in vista del conseguimento di futuri vantaggi nell'interesse comune».
Secondo quanto ricostruito «l'interesse degli associati per la vita e l'attività politica è risalente nel tempo». Qui si fa riferimento in particolare a Giuseppe Battaglia, che «dopo essere stato consigliere comunale, ha ricoperto la carica di assessore alle cave del Comune di Lona Lases»; ma anche al fratello Pietro Battaglia, «divenuto consigliere dell'Asuc (la quale rilascia le concessioni necessarie per l'estrazione e la lavorazione del porfido)». Proprio da qui prenderà il via il secondo filone del processo Perfido.
L'efficacia delle intimidazioni. Partita in modo «silente», «la consorteria è passata a più tradizionali e visibili manifestazioni criminali, caratterizzate dalla esteriorizzazione della forza intimidatrice e dalla configurazione di una situazione di assoggettamento ed omertà», viene scritto nero su bianco. Diversi gli episodi utilizzati come prova, tra cui anche delle aggressioni.
«È del tutto evidente l'efficacia intimidatrice che tale episodio ha provocato nel settore della lavorazione del porfido e nei confronti degli altri lavoratori (i quali anch'essi, erano in arretrato nei pagamenti delle retribuzioni)».