Le Rsa trentine allo stremo, Dori: "Servono una visione e un progetto. Però urgentemente”
«Il futuro è definito, la strada che abbiamo già imboccato è chiara: servono scelte e decisioni immediate perché, appunto, siamo già in fortissimo ritardo. La politica deve dire subito come sistema sanitario e sistema socio sanitario devono integrarsi».
TRENTO. «Va pensato un nuovo modello per le Rsa. Il sistema va riformato. E siamo già in ritardo. Siamo in costante ritardo. L'aspetto più drammatico è che le soluzioni ci sono, i soldi anche e il tema era ben noto da anni. Ma l'incapacità politica di elaborare un progetto fa sì che siamo fermi». Renzo Dori, presidente della Consulta per la salute, il tema delle Rsa lo conosce bene. E quando ha letto il punto della situazione fatto da Upipa (liste d'attesa sempre più lunghe, posti a pagamento esauriti e conti in rosso) non ha potuto che sospirare. «Non ci sono novità, la verità è che siamo terribilmente in ritardo. I problemi erano arcinoti: mi vengono in mente ricerche, percentuali, dati e documenti del 2016 con le proiezioni su anziani, cronicità, non autosufficienza. E nei vostri articoli avete giustamente sottolineato anche le statistiche sui malati cronici e lo stato di salute: perché è vero che la vita si allunga, ma si allungano anche gli anni in cattiva salute. Per questo dobbiamo chiederci quale deve essere il ruolo delle Rsa. Ma dobbiamo agire, non solo assistere e tamponare. Tamponando sempre, tutto diventa un'emergenza».
Dori entra anche nel merito dell'analisi della presidente di Upipa Michela Chiogna, sottolineando un aspetto che da sempre gli sta particolarmente a cuore, ovvero l'equità: «Avere 300 posti a 4.000 euro al mese è utile per i bilanci, ma è una forma di disequità di un sistema che non risponde con un approccio umanistico ma di tipo economico. Chi ha un po' di soldi entra, gli altri aspettano. In fin dei conti è come con le liste d'attesa degli ospedali, che sono lunghissime: chi ha soldi trova una soluzione, gli altri no. Ci dicono che c'è carenza di personale, ed è vero. Ma la carenza c'è in tutta Italia, eppure certe regioni fanno meglio e danno risposte migliori. Tornando alle case di riposo, le liste d'attesa sono enormi, ma hanno anche un meccanismo diabolico: se il grado di compromissione è elevato allora si entra. Chi lo ha medio resta sempre fuori, perché anche se una persona grave entra e dopo qualche mese o anno muore, al suo posto entrerà un'altra persona grave. Ed entrare o meno significa sofferenza per le famiglie».Detto che il macro problema era noto da anni, il tema sono ora le soluzioni.
«C'è una legge sulla non autosufficienza e c'è il Pnrr che, oltre a portare denaro, spinge sulla necessità di orientarsi sulla medicina del territorio. Ma sul Piano nazionale siamo fermi: ho guardato i dati di Agenas e Gimbe su quanto è stato fatto fino ad ora. Nella riga del Trentino ci sono solo "zero", "zero" e "zero" sui vari progetti. Sono stati solamente individuati alcuni numeri, che dicono che si faranno tot strutture. Siamo tutti d'accordo sul fatto che sia necessario potenziare la medicina del territorio e potenziare gli interventi a domicilio. Però bisogna farlo: organizzare e decidere. E avere la visione, che era sostanzialmente già scritta nei documenti di quasi dieci anni fa. C'è stato il Covid, è vero, ma la pandemia ha scosso il sistema socio sanitario, facendo emergere che i modelli non erano e non sono adeguati. Esempio: a Trento ci sono 1.000 posti letto, ma in proporzione ce ne sono 10 di sollievo. Ecco, questa non è una politica che va nella direzione di garantire la domiciliarità tanto sbandierata».
Come accennato sono le famiglie quelle che soffrono per la situazione e che non hanno risposte. Dori spiega che in questo contesto deve essere la politica a dare le soluzioni, anche e soprattutto per dare una speranza ai trentini. «Il futuro è definito, la strada che abbiamo già imboccato è chiara: servono scelte e decisioni immediate perché, appunto, siamo già in fortissimo ritardo. La politica deve dire subito come sistema sanitario e sistema socio sanitario devono integrarsi».