Sottomette e picchia la moglie: condannato a due anni e a risarcire la donna e i figli
Nell'ambiente lavorativo era noto come un commerciante affabile e competente, a casa si trasformava in un padre-padrone: la drammatica vicenda di violenza ha avuto luogo in piana Rotaliana, il processo in tribunale a Trento. La donna non poteva cercarsi un'occupazione, il marito la obbligava a stare a casa per prendersi cura dei figli
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TRENTO. Conosciuto nell'ambiente lavorativo come un commerciante affabile e competente (e con un discreto giro d'affari), a casa si trasformava in un padre-padrone. Obbligava la moglie a ubbidire alle sue richieste e a stare a casa con i figli; pur avendo un discreto reddito, le dava 5 euro al giorno impedendole di trovarsi un'occupazione. Si chiama violenza economica: è il controllo del maltrattante sulla parte finanziariamente debole della coppia.
È una forma subdola di violenza di genere che, nel caso discusso in tribunale a Trento, si aggiungeva alle botte (anche quando la vittima era in dolce attesa), alle minacce di morte, agli insulti.
L'imputato, un 41enne residente in Rotaliana, assistito dall'avvocato Paolo Mazzoni, è stato condannato in abbreviato a due anni per maltrattamenti familiari e lesioni, mentre non si è proceduto per violenza privata in assenza della querela della moglie. La pm Antonella Nazzaro aveva chiesto al collegio, presieduto dal giudice Rocco Valeggia, una pena di 2 anni e 4 mesi. La vittima, che si è costituita parte civile assieme ai quattro figli, è stata assolta per particolare tenuità del fatto dal reato di lesioni: scoppiato un furibondo litigio, marito e moglie si misero le mani addosso, con lui che riportò lesioni guaribili in 5 giorni e lei che dovette andare al pronto soccorso e venne dimessa con prognosi di guarigione di 15 giorni.
Gli episodi contestati sono avvenuti fra il 2019 e il 2021. In quella famiglia, all'apparenza esemplare - visto l'impegno del marito nel lavoro e l'amore della moglie nella cura dei figli - c'erano forti scontri fra i coniugi, violenze sia fisiche che psicologiche da parte dell'uomo nei confronti della donna, soggiogata alla volontà "di colui che portava a casa il denaro".
Per l'imputato la moglie doveva solo obbedire e crescere i figli, farsi bastare quei pochi spicci che le dava e stare a casa senza avere troppi contatti con l'esterno. In un'occasione, avendo saputo che la donna era andata ad un colloquio di lavoro, l'aveva chiamata sul cellulare ordinandole di rientrare subito e di prendersi cura dei figli; una volta a casa, l'aveva strattonata, minacciata («è l'ultima volta che vedi i tuoi figli»), poi le aveva distrutto il cellulare con un martello, pensando che stesse registrando tutto. Non pago di quella scenata violenta, qualche ora dopo, durante la notte, aveva preso per i capelli la donna, le aveva stretto al collo un asciugamano per poi trascinarla in soggiorno e minacciarla di morte.
«È l'ultima volta che stai respirando» le aveva detto. Dunque la vittima non poteva fare nulla senza il consenso del marito, né poteva disporre dei propri beni, neppure dei vestiti che lui le aveva fatto sparire quando lei era andata all'estero, nel suo paese d'origine, per un breve soggiorno: gli abiti «non le spettavano», in quanto acquistati con i soldi di lui. Così ragionava il padre-padrone che maltrattava la moglie e la picchiava anche davanti ai figli (uno dei bambini in un'occasione venne colpito per errore da una manata destinata alla madre).
Quando la donna, nel 2021, aveva manifestato la volontà di separarsi, era stata minacciata affinché ritirasse le querele («ti brucio», le diceva) e insultata («sei una put..., sei una cattiva madre, sei una stupida»). Anni di violenze, da quelle fisiche (picchiata con le nocche della dita, strattonata schiaffeggiata) e psicologiche passando per la subdola violenza economica, in quanto la vittima dipendeva in tutto e per tutto dal marito.
I due fascicoli a carico dell'imputato sono stati riuniti in un unico procedimento che si è concluso con la condanna a due anni (pena sospesa) e con il risarcimento alla moglie, pari a 20mila euro, ed i figli, 10mila euro ciascuno per un totale di 40mila. Si erano infatti costituiti parte civile sia la donna, assistita dall'avvocato Fabio Valcanover che aveva avanzato richiesta di 30mila euro, che i figli, con l'avvocata Ingrid Avancini che aveva chiesto un risarcimento per complessivi 120mila euro.