Risarcito un lavoratore del porfido, banconi forniti troppo tardi: danni a spalle, gomiti e colonna vertebrale
Il segretario generale della Fillea Cgil del Trentino, Giampaolo Mastrogiuseppe, commenta: “Si tratta di una sentenza importante perché chiarisce che è fondamentale non porre ritardo nell’adozione e messa in opera di tutti gli strumenti utili a far lavorare le persone in sicurezza e tutelandone la salute”
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TRENTO. A seguito di un ricorso riguardante una richiesta di danni alla salute per un lavoratore iscritto – patrocinato da Fillea e dall’avvocato Giovanni Guarini – il Tribunale di Trento ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro, titolare della cava di porfido. La responsabilità è stata affermata per la causazione dei danni fisici riportati dall’operaio e per la non tempestiva introduzione di un particolare bancone di lavoro che li avrebbe potuti prevenire.
Il segretario generale della Fillea Cgil del Trentino, Giampaolo Mastrogiuseppe, commenta: «Si tratta di una sentenza importante perché chiarisce che è fondamentale non porre ritardo nell’adozione e messa in opera di tutti gli strumenti utili a far lavorare le persone in sicurezza e tutelandone la salute. Parliamo ovviamente di un lavoro pesante e sottolineo che la difesa di controparte ha fondato, incredibilmente, la propria linea difensiva sull’eccessivo lavoro dell’operaio, che lo avrebbe svolto per sua scelta. Colgo l’occasione per fare appello ai lavoratori a non sottoscrivere accordi cosiddetti “tombali” quando escono da un’azienda per cambio o per termine dell'attività. Fillea è sempre disponibile, anche con l’ausilio del patronato Inca, ad assistere chi dovesse aver riportato danni alla salute. Chi avesse dubbi sulla natura dei propri malanni ci contatti per una consulenza».
La vicenda
Il lavoratore è un operaio manovale di cava addetto alla cernita e prima lavorazione dei blocchi\lastre di porfido, era Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e Delegato sindacale di Fillea. Dopo 30 anni di lavoro, dal 1991, nel Distretto del porfido, aveva riportato varie patologie muscolo scheletriche a spalle, gomiti e colonna vertebrale.
Il suo lavoro è consistito nello sfaldamento, fino al 2008-2009 a terra, successivamente su un bancone alto circa 80 centimetri, del materiale grezzo, che veniva così ridotto in lastre di diverse dimensioni e dal peso variabile tra i 15-20 chili e 70-80 chili e della movimentazione manuale di tali lastre.
Il datore di lavoro si è difeso, fra l'altro, dicendo che se il lavoratore aveva lavorato troppo lo aveva fatto per sua scelta, per guadagnare di più col sistema del cottimo. Ha affermato anche che aveva fatto quanto possibile per tutelarlo, visto che prima del 2008 non avrebbe potuto introdurre i banconi, utili a evitare la movimentazione dei blocchi e a lavorare a una altezza idonea, visto che non esistevano. La sentenza, però, stabilisce che dal consenso all’applicazione del sistema di retribuzione a cottimo non deriva, a carico del lavoratore, un concorso di colpa. È anche emerso che il datore assumeva solo i lavoratori che erano veloci a produrre, come il ricorrente, visto che il sistema del cottimo avvantaggia, prima che il lavoratore, lo stesso datore di lavoro.
La sentenza chiarisce poi che l’imprenditore ha l'obbligo di adottare tutte le misure per tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori, quindi è censurabile il fatto che abbia adottato i banconi solo dal 2008, quando esistevano studi medici sin dal 1998 e dal 2003 che ne raccomandavano l'adozione.