Il sindacato dei penitenziari: Chico Forti subito in permesso, che amarezza, due pesi e due misure
Duro attacco del segretario Aldo di Giacomo: «Per un permesso così di solito ci vogliono settimane, non pochi secondi: un condannato per omicidio potrà lasciare il carcere, generando sfiducia»
TRENTO. "Per noi servitori dello Stato che ogni giorno in carcere combattiamo, per conto dello Stato, una battaglia oscura ma importante per il rispetto della legalità, il sentimento di amarezza e di smarrimento è molto diffuso alla notizia che Chico Forti, condannato per omicidio negli Stati Uniti e sabato scorso tornato in Italia, potrà lasciare temporaneamente il carcere per incontrare la madre".
Così, in una nota, Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato polizia penitenziaria, mettendo in relazione la celere pronuncia dei magistrati di sorveglianza rispetto ad altre situazioni simili e - lamenta il sindacalista - "in sospeso da tempo".
"Da quanto ci risulta lo stesso provvedimento adottato per Forti - evidenzia - ha bisogno di settimane di attesa e non di pochi secondi oltre a riguardare casi particolarmente gravi come il rischio di vita del congiunto da incontrare, evenienza che non è valida per Forti".
"Non è in alcun modo giustificabile - aggiunge il sindacalista - un sistema giudiziario a due pesi e due misure, perché introduce innanzitutto sfiducia nel personale penitenziario al quale lo Stato chiede il massimo rispetto del regolamento penitenziario sino a pagarne direttamente, come riprova l'alto numero - 250 - di provvedimenti disciplinari, mentre si allargano le 'maglie' per detenuti con condanne per reati gravi. Accade invece, come abbiamo denunciato nei giorni scorsi, che un ottantenne, già agli arresti domiciliari, è tornato in carcere a Santa Maria Capua Vetere per scontare una pena residua. Purtroppo non è l'unico caso.
Al 2023 i detenuti in carcere con 70 anni e più sono 1208 (di cui 38 donne), e alcune decine i detenuti over 80 anni. Un quadro allarmante che - continua Di Giacomo - dovrebbe orientare i magistrati a non appesantire la situazione tanto più che i detenuti anziani, ad eccezione dei capo clan e uomini di spicco della criminalità organizzata, vivono la detenzione in condizioni di maggiore difficoltà, tanto più che in altri casi si usano benefici di pena. Tutto questo aggravando il già pesante lavoro del personale penitenziario che in molti casi deve fare da "badante" ai più anziani e che vive la condizione di disparità di trattamento e detenzione tra detenuti", conclude la nota.