Salute / Il tema

Legge 194, appello della commissione pari opportunità: no a chi tenta di svuotarla

In una lettera firmata dalla presidente dell'organismo provinciale Marilena Guerra forti preoccupazioni per "gli attacchi che, di fatto, minacciano l'integrità e l'applicazione delle norme che regolano l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia". Nel mirino le iniziative del governo Meloni, come l'ingresso di associazioni antiabortiste nei consultori e le limitazioni all'accesso all'aborto farmacologico

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TRENTO. "La commissione pari opportunità tra donna e uomo della Provincia di Trento esprime forti preoccupazioni in relazione agli attacchi che, di fatto, minacciano l'integrità e l'applicazione della legge n. 194 del 1978, che regola l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia".

Inizia così la lettera firmata dalla nuova presidente della commissione, Marilena Guerra. "La Commissione - così la lettera - si unisce alle numerose voci provenienti dalle donne, dalle associazioni, dall'attivismo e dalle persone della società civile che chiedono riconoscimento e applicazione di questa legge fondamentale.

Un'applicazione minacciata perché resa più difficoltosa a causa delle modifiche proposte dal Governo nazionale nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Tali modifiche minano alle basi la legge n. 194, legittimando in primis le Regioni e le Province autonome a prevedere l'ingresso di associazioni antiabortiste nei consultori, una presenza che altro non sarebbe che una pressione psicologica sulle donne e le ragazze che si recano negli stessi consultori per supporto, confronto e sostegno.

Inoltre, l'accesso all'aborto farmacologico risulta fortemente limitato, variando significativamente tra le Regioni; infine l'obiezione di coscienza rimane, ad oggi, per come è intesa ed esercitata, un ostacolo significativo all'applicazione della legge, in particolare in alcune aree territoriali del Paese".

"Ci preoccupa e indigna la manifesta volontà di rendere inaccessibile l'interruzione volontaria di gravidanza a chi ne ha diritto, pur in presenza di una legge dello Stato che, al contrario, questo diritto lo sancisce e lo regola.

Le conseguenze gravano e continueranno a gravare sui corpi delle donne e sulle loro vite. La possibilità delle donne ad autodeterminarsi, l'opportunità di accedere ai servizi di salute sessuale e riproduttiva sono frutto di storiche conquiste sociali e collettive, sono diritti che rappresentano pilastri indiscutibili di un paese democratico e civile, che per definirsi tale deve riuscire ad affermare, riconoscere e tutelare, ieri come oggi", conclude la lettera.

[nella foto Ansa, manifestazione in difesa della legge 194, in vista del referendum del 1981 con la proposta di abrogazione avanzata dal Movimento per la vita ma bocciata dal 68% dei votanti]

LA LEGGE

La legge 194 sull'accesso all'aborto volontario, che quest'anno compie 46 anni, pur riconoscendo il diritto alla vita dell'embrione e del feto, tutela, non senza polemiche sin dalla sua entrata in vigore, il diritto della donna alla salute fisica o psichica, qualora questa sia messa a rischio dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità.

Ecco, in sintesi, cosa prevede la normativa.

Il limite dei 90 giorni: entro 12 settimane e 6 giorni dall'ultima mestruazione l'aborto è ammesso sulla base di una autonoma valutazione della donna, che lo richiede perché ritiene che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica. Dopo il novantesimo giorno l'aborto è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi e certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita o la salute della donna.    

Il documento/certificato: sia prima sia dopo il novantesimo giorno, per accedere all'interruzione di gravidanza (Ivg) la donna deve rivolgersi a un medico (del consultorio o anche un medico di sua fiducia), che deve redigere un documento attestante la richiesta della donna. Il documento (certificato, se il medico attesta l'urgenza della procedura) è indispensabile per accedere all'Ivg. Nel caso in cui il medico non consideri urgente l'intervento, invita la donna a rispettare un periodo di "riflessione" di sette giorni, trascorsi i quali la donna può rivolgersi a un centro autorizzato per l'espletamento della procedura.

L'aborto terapeutico: secondo la legge 194 tutte le interruzioni volontarie della gravidanza sono "terapeutiche", poiché l'aborto è ammesso solo nei casi in cui la gravidanza o il parto costituiscano un pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Tuttavia, comunemente viene definito "terapeutico" l'aborto praticato oltre il novantesimo giorno di gestazione (cioè nel secondo trimestre di gravidanza). Quest'ultimo è consentito quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, o anche in presenza di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna per patologie come tumori, cardiopatie gravi, malattie psichiche, tutte certificate dal medico.

Il limite massimo è di 22-24 settimane: anche se la legge 194 non definisce un limite di epoca gestazionale per l'aborto terapeutico, nel caso in cui il feto abbia raggiunto uno sviluppo che ne permette la sopravvivenza al di fuori dell'utero (cioè attorno alle 22-24 settimane), il medico attui tutti gli interventi per salvaguardarne la vita; pertanto, per scongiurare la nascita di bambini con gravissimi handicap, si tende a non procedere oltre le 22-24 settimane.

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