Minori / Il processo

Due fratellini picchiati e umiliati dalla matrigna e dal papà

Orfani della mamma, hanno dovuto subire vessazioni di ogni tipo. La donna è stata condannata in appello a 6 anni e 8 mesi, il padre, già in carcere, ha patteggiato 4 anni e 8 mesi  

di Patrizia Todesco

TRENTO. La favola di Cenerentola con la matrigna cattiva? Nulla rispetto a quanto hanno subito per almeno cinque anni due fratelli che dopo aver perso la madre si sono ritrovati con la nuova compagna del papà e il papà stesso che li picchiavano, li segregavano in camera per ore con le serrande abbassate, li obbligavano a bere solo mezza bottiglia di acqua al giorno perché era loro consentito di andare al bagno solo al mattino, li facevano cenare in camera da soli e davano loro pochi minuti al mattino per vestirsi ed andare a scuola con abiti sporchi e vecchi.

Un inferno dal quale sono stati salvati grazie alla pediatra che si è resa conto che quelle lesioni trovate sul corpo del bambino più piccolo durante una visita non poteva essersele procurate da solo.

È scattata l'indagine e nei giorni scorsi la giustizia ha messo la parola fine a questa vicenda davvero drammatica. Per i bambini - difesi dall'avvocato Alessandro Meregalli e la cui tutrice è l'avvocata Chiara Pontalti - la fine di un incubo. La Corte d'appello ha infatti confermato la condanna alla donna, che all'epoca dei fatti aveva poco più di vent'anni e che oggi ne ha 28, a sei anni e 8 mesi di reclusione oltre al risarcimento nei confronti della parte civile (i due figli minori) di 200 mila euro. Il padre, 51 anni, ex poliziotto ora in carcere, aveva patteggiato nel giugno scorso 4 anni e otto mesi di reclusione.

Entrambi erano accusati di maltrattamenti in famiglia e lesioni cagionate con "sevizie e crudeltà".Quando hanno perso la loro mamma i bambini avevano appena 3 e 10 anni. A questo dramma, per loro, se ne è aggiunto un altro. La nuova compagna del papà, dalla quale pochi anni dopo lui ha avuto un figlio, si è accanita contro di loro con la complicità del loro papà il quale, forse per paura di perdere il giovane amore, ha messo completamente da parte il suo ruolo di padre trasformandosi in un orco.

I fatti contestati ai due sono gravissimi e hanno lasciato segni profondi sul corpo e nell'animo dei due minori. Atti di violenza gratuita, come quando, ancora non conviventi, la donna chiedeva ogni giorno al compagno di mandarle un video con il cellulare che comprovasse il fatto che lui dava quattro forti sberle ai figli. Quando tutti sono andati a vivere insieme la situazione è diventata ancora più terribile.Ai due fratelli era impedito di vedere o toccare il fratellino nato dalla relazione tra il papà e la nuova compagna in quanto loro non erano considerati come "fratelli".

Poi episodi che rasentano la tortura. Venivano obbligati a stare nella loro camera da letto anche per 24 ore consecutive al buio, con le tapparelle abbassate e senza poter parlare. Qui dovevano anche consumare i pasti. Potevano bere solo mezzo litro di acqua, affinché non dovessero andare al bagno più di una volta al giorno e quando, soprattutto il bambino più piccolo, doveva fare la pipì al pomeriggio, era costretto a farsela addosso. A scuola, poi, dovevano andare senza aver fatto colazione e soprattutto senza essersi prima lavati. La doccia era consentita una volta a settimana e le scarpe andavano messe in garage, al freddo, per non svegliare il fratellino che dormiva. Nemmeno in casa si poteva camminare, perché il rumore del pavimento infastidiva la matrigna. Divieto assoluto anche di avere contatti con la nonna materna.A questi si aggiungono episodi di violenza fisica e psicologica. Più volte il bambino era stato colpito con la scopa e altri arnesi, come un martello, tanto che anche a scuola si erano accorti di quelle ripetute ecchimosi sul volto.

E poi frasi d'odio come «mocci di m.» e altri irripetibili epiteti pronunciati dalla donna per gelosia nei confronti dei due piccoli senza che il padre facesse nulla per proteggerli in alcun modo. Affinché la nuova compagna non si innervosisse e non lo lasciasse, ogni angheria messa in atto contro i bambini era accettata. I due minori sono così cresciuti nel terrore delle botte e dei maltrattamenti, privi di affetto e di attenzioni e anche ora, anche se da tempo sono stati allontanati da quell'inferno, pagano le conseguenze delle angherie subite. «La sentenza della Corte di appello ha fugato ogni dubbio che i ragazzi avevano di non essere creduti - sono le parole dell'avvocato Meregalli - Infatti la donna ripeteva loro che, se anche avessero denunciato, nessuno avrebbe mai creduto che i figli di un poliziotto stavano subendo simili angherie. Anche per questo hanno sempre fatto fatica a raccontare quello che stavano subendo. Questo deve essere di esempio per chi, ancora oggi, non denuncia nel timore di non essere creduto». P

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