Giustizia / Il caso

Bimbo in stato vegetativo, il giudice: «Una vera e propria cooperazione colposa»

Mattia, ora undicenne, ha una invalidità permanente con la necessità di assistenza continua da parte di mamma Ivana e di papà Giovanni Battista Maestri. E questo per aver mangiato un formaggio prodotto con latte crudo contenente Escherichia coli portatore di shigatossina

SENTENZA Un milione di risarcimento 
GIUSTIZIA Nei guai ex presidente e casaro

di Marica Viganò

TRENTO. «Una vera e propria cooperazione colposa». Così il giudice Massimo Rigon nelle motivazioni della sentenza che il 19 luglio ha confermato la condanna per lesioni personali gravissime dell'ex presidente del caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari (2.478 euro di multa ciascuno), condanna decisa dal giudice di pace nel dicembre scorso.

È da sette anni che Mattia, ora undicenne, è in stato vegetativo e ha una invalidità permanente con la necessità di assistenza continua da parte di mamma Ivana e di papà Giovanni Battista Maestri.

E questo per aver mangiato un formaggio prodotto con latte crudo contenente Escherichia coli portatore di shigatossina. Il Tribunale ha inoltre stabilito un risarcimento pari a un milione di euro per le parti civili. Ma la battaglia della famiglia Maestri è partita non per motivi di denaro.

Il padre si è sempre battuto per avere giustizia per il figlio e ora chiede a gran voce una legge che vieti la somministrazione a piccoli sotto i 10 anni di prodotti a latte crudo, «affinché Mattia possa salvare altri bambini». Il giudice evidenzia «l'atteggiamento inerte» dei due imputati rispetto alle carenze igieniche all'interno del caseificio, carenze fatte presente anche dagli autisti che trasportavano il latte. Le indagini, che per il carattere multifattoriale della Seu hanno riguardato tra l'altro la piscinetta utilizzata dal bambino, l'asilo e l'azienda agricola vicina, «permettevano di escludere l'interferenza di possibili decorsi causali alternativi rispetto all'ingestione del formaggio infetto».

E ciò alla luce di diversi elementi fattuali: dall'acquisto del prodotto alla certezza che il bambino l'ha mangiato, fino alle carenze igienico-sanitarie nella accolta e nel conferimento del latte. Viene ricordato che il manuale del caseificio è stato sottoscritto dal responsabile del sistema di autocontrollo Fornasari, assieme al presidente Biasi, e prevede l'obbligo di garantire l'igiene nella propria filiera produttiva e la salubrità dell'alimento che giunge al consumatore finale.

«Il fattore di rischio è stato introdotto dal casaro stesso (Fornasari, ndr) nella misura in cui egli ha prodotto il formaggio senza attenersi a tutte quelle regole precauzionali, il rispetto delle quali avrebbe consentito di scongiurare o quantomeno ridurre il rischio di eventi lesivi per i consumatori finali». A Biasi si contestata una condotta omissiva colposa, perché «non ha impedito l'evento lesivo mediante la dovuta vigilanza». In merito alla prova scientifica, precisa il giudice che la natura probabilistica può essere qui utilizzata per argomentare in materia di causalità.

«Le testimonianze dei genitori e dei conoscenti di Mattia nonché le indagini effettuate dal Servizio veterinario provinciale e dai carabinieri del Nas di Trento hanno consentito di escludere decorsi causali diversi e alternativi rispetto a quello derivante dal consumo del formaggio contaminato».

Nelle oltre 50 pagine delle sentenza viene ricordato che «i consulenti della parti civili sono giunti ad affermare che la possibilità che lo sviluppo della patologia insorta nel bambino sia indipendente dal consumo del formaggio contaminato da Escherichia coli Stes si aggira nell'ordine di una su un milione»: dunque per il Tribunale c'è la sussistenza del nesso causale oltre ogni ragionevole dubbio.

Riguardo al risarcimento, è stato tenuto in considerazione l'«immane dolore patito dai genitori e dello sconvolgimento delle loro abitudini di vita» nonché il fatto che «lo stato semi -vegetativo nel quale si trova il piccolo Mattia produce, nella sostanza, una situazione non così dissimile da quella derivante dalla vera e propria perdita del figlio».

Il giudice cita Melchiorre Gioia che due secoli fa scrisse: «Le pene che affliggono le persone che ci sono care affliggono noi stessi».

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