Fondriest: «Mi si è raggelato il sangue. Non ho parole, perché sarebbero troppo cattive»
Il campione trentino era particolarmente legato alla famiglia Piffer, dolore e rabbia si mescolano dopo la morte della diciannovenne Sara, travolta da un'auto mentre si allenava col fratello a Mezzocorona: «In una zona con limite di 50 all'ora e la linea continua si sorpassa? Certe persone, semplicemente, non devono andare in macchina»
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TRENTO - Incredulità, che sfocia in rabbia, un sentimento difficile da controllare nelle ultime ore per Maurizio Fondriest, che era particolarmente legato alla famiglia Piffer, lui che da qualche anno seguiva in prima persona la carriera dei fratelli del pedale Christian e Sara.
«Ho parlato con Christian, mentre ascoltavo il suo racconto mi si è raggelato il sangue - spiega Fondriest -. Conosco quella strada, mentre mi spiegava l'accaduto mi sono detto "non è possibile".
In questo momento non ho parole e non voglio trovarne, perché sarebbero troppo cattive. In una zona con limite di 50 all'ora e la linea continua si sorpassa? Per andare dove? Nemmeno per la fretta si può commettere un'imprudenza del genere, visto che poi si entra in paese».
L'ex campione del mondo fatica a darsi pace. «In questo caso - aggiunge - non si può parlare di disgrazia o di fatalità. Se uno fa quello che deve, non succede nulla, non c'è alcun problema. Certe persone, semplicemente, non devono andare in macchina. A volte mi chiedo se la gente pensa: potrebbe incontrare sulla strada anche un proprio caro. Nemmeno questo li porta a riflettere?».
Fondriest si è sempre battuto per la sicurezza dei ciclisti, in primis con l'associazione da lui fondata "Io rispetto il ciclista", che ha recentemente ottenuto l'approvazione della legge che prevede il rispetto della distanza di 1,5 metri.
«Siamo riusciti a far passare questa legge e abbiamo fatto posizionare sulle strade 30mila cartelli, ma ripeto, qui non parliamo di uno sbaglio, di una distrazione, di errore umano - argomenta Fondriest -. Se guidi con il telefono in mano non è distrazione, se sorpassi dove c'è la linea continua e vige il limite dei 50 km/h non è distrazione. In queste condizioni rischiano i ciclisti, rischiano i pedoni. Cosa vogliamo fare? Niente bici e niente pedoni? Non bisogna uscire più di casa perché altrimenti ci schiacciano?».
Il problema della sicurezza è quanto mai d'attualità e vanno adottate ulteriori misure, onde evitare di trovarsi a parlare di altre tragedie.
«Il governo in primis deve investire risorse per realizzare dei ciclodromi, dei circuiti protetti, delle strutture che hanno dei costi di gran lunga inferiori rapportati ai benefici che possono portare. Sempre che si voglia ancora permettere alle famiglie di dare ai propri figli la possibilità di andare in bici».
Detto dei circuiti protetti (la società ciclistiche della città di Trento lo attendono da oltre vent'anni) e della legge relativa al rispetto della distanza di 1,5 metri, ci sono altre iniziative possibili da mettere in campo in tema di sicurezza?
«Bisogna inserire le "bike lane", dove è possibile ricavarle. Non bastano le ciclabili e non possiamo di poter costruire ciclabili ovunque. Vanno create delle corsie dedicate, delle fasce di rispetto: se già c'è una linea tracciata sulla strada, le macchine difficilmente la oltrepassano».
Alla base, però, ci sono sempre la coscienza e il rispetto. «Questo in linea generale - conclude Fondriest -. C'è sempre meno rispetto verso il prossimo. Bisogna partire dalle scuole, con delle ore dedicate all'educazione civica, con delle regole più severe. C'è troppo buonismo e con il troppo buonismo non funziona nulla».