Il processo/La compravendita

Truffa delle racchette: intasca 180 euro, ne dovrà sborsare 10 mila

Un 50enne della Basilicata dovrà risarcire una donna della Valsugana che aveva pagato ma nel pacco aveva ricevuto solo una racchetta (rotta). Ad utilizzare Messenger era stato il figlio minorenne dell’uomo

TRENTO. Per non versare 180 euro, valore di due racchette da tennis usate, e in questo modo risarcire la vittima e chiudere la questione, un cinquantenne residente in Basilicata ha preferito affrontare il processo. Un azzardo che gli è costato caro: un anno di reclusione, pena sospesa, e circa 10mila euro fra risarcimento del danno, spese di giustizia di primo e secondo grado e spese di costituzione di parte civile. L'imputato è accusato di truffa in concorso con il figlio minorenne per aver ricevuto il denaro e mai spedito l'articolo sportivo al centro della compravendita.

Era stata la vittima, una donna residente in Valsugana a pubblicare su un gruppo Facebook l'annuncio di ricerca di un modello di racchetta ormai fuori produzione, ricevendo la proposta di un sedicente appassionato di tennis che, attraverso una falsa identità social, le offriva due articoli che aveva in magazzino per la somma complessiva di 180 euro. Il contatto era avvenuto attraverso la piattaforma Messenger. La donna aveva versato l'importo su una carta prepagata, chiedendo il numero di spedizione, ma non era stata esaudita nella richiesta. Solo dopo molte insistenze le era stata inviata la foto della confezione degli articoli, in cui era visibile in nome del mittente (finito poi a processo).

All'arrivo del pacco ha però avuto l'amara sorpresa, perché all'interno c'era un'unica racchetta, pure rotta. La donna aveva subito presentato denuncia ai carabinieri, dicendosi favorevole ad una conciliazione: per chiudere la vicenda, chiedeva solo la restituzione del denaro versato al venditore. Quest'ultimo, convocato presso la caserma del paese in cui vive, aveva mostrato una ricevuta di bonifico a prova che il rimborso era stato effettuato.

Ma era tutto falso: alla vittima quei soldi non sono mai arrivati. Nel frattempo i carabinieri hanno scoperto che ad utilizzare Messenger era stato il figlio minorenne dell'uomo. La procura di Trento ha contestato la truffa anche al genitore, che in primo grado era stato condannato a un anno di reclusione e 300 euro di multa, pena sospesa subordinata al pagamento alla vittima di 800 euro di risarcimento; il giudice aveva inoltre disposto il versamento da parte dell'imputato delle spese processuali e di 7mila euro per la costituzione di parte civile.

C'è stato anche un secondo grado di giudizio. Nel processo d'appello la procura generale ha chiesto l'assoluzione dell'uomo per non aver commesso il fatto, sostenendo che non sarebbero emersi elementi che possano far dedurre con certezza la sua partecipazione alla truffa organizzata dal figlio. Il collegio ha dato però un'altra valutazione della vicenda e confermato la sentenza di primo grado. L'imputato è stato condannato anche a pagare le spese di giudizio all'erario e, per 1.900 euro, alla parte civile. In tutto, fra dibattimento e appello, il conto sale a circa 10mila euro. Ma. Vi.

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