Giorgio Daidola: l'ultimo giorno da prof dopo 50 anni in ateneo
Il noto docente di Analisi economico finanziaria delle imprese turistiche: «Hanno tolto il mio corso, ora continuerò la mia attività di scrittore e giornalista di montagna. ll miglior complimento che ho ricevuto è stato quando una studentessa, dopo l’esame, ha tirato fuori il mio libro "Ski Spirit" e mi ha chiesto la dedica»
TRENTO - «Da mercoledì 26 marzo con l'università ho chiuso: continuerò la mia attività di scrittore e giornalista di montagna». Il professore Giorgio Daidola, docente di Analisi economico finanziaria delle imprese turistiche all'Università di Trento, ha compiuto 81 anni nel novembre scorso e quasi quasi non ci vuole ancora credere che questa sarà davvero l'ultima sessione di laurea.
Fosse stato per lui, infatti, sarebbe andato avanti ad insegnare, perché adora il confronto con gli studenti, ma il Dipartimento di economia e management ha deciso di togliere un corso che teneva, in «Sostenibilità e turismo», e quindi, dopo 50 anni di insegnamento e ricerca all'Università di Trento, finisce questa lunga carriera accademica, che ha rappresentato solo una parte della vita avventurosa di Daidola, divisa tra alpinismo, sci estremo e mare.
Giorgio Daidola è torinese ma è approdato all’Università di Trento nel 1975, dove ha introdotto alla facoltà di Economia un approccio all’americana nella lettura dei bilanci. Andato in pensione a 70 anni, ha però continuato a insegnare per altri dieci Analisi economico finanziaria delle imprese turistiche. Accanto all’attività accademica è stato direttore della «Rivi- sta della Montagna».
Maestro di sci, ha scritto libri e articoli sullo scialpinismo e la vela d’altura, altra sua grande passione. Vive da 28 anni a Frassilongo in Val dei Mocheni, in un maso che ha ristrutturato. Nella foto a fianco, la sessione di laurea del 1989 in cui Diego Cattoni, attuale amministratore delegato di Autobrennero, fu il primo a laurearsi in Economia e commercio a Trento.
Professore Daidola, a 81 anni dovrà dire addio all'Università. Come ci si sente?
Diciamo che mi ero posto l'obiettivo di raggiungere gli 80 anni insegnando e ce l'ho fatta. Negli ultimi dieci anni, dopo essere andato in pensione a 70 anni, come tutti i professori, ho tenuto il corso di «Analisi economico finanziaria delle imprese turistiche» in cui insegnavo a leggere i bilanci e a utilizzarli a fini manageriali, cosa che ritengo molto utile, dando una impostazione molto diversa rispetto ai corsi teorici di ragioneria che sono molto diffusi nelle facoltà di Economia. Io ho cominciato a insegnare alla Scuola di amministrazione industriale di Torino in cui avevano dato un'impostazione di Business School che ho importato a Trento quando ho avuto il primo incarico.
Quando è arrivato a Trento?
Era il 1975 nella libera Università di Trento. Ho avuto grande soddisfazione con il mio approccio un po' all'americana nella lettura dei bilanci, che è stato molto apprezzato dagli studenti, alcuni dei quali sono diventati manager importanti. Penso a Diego Cattoni, amministratore delegato di Autobrennero, che nel 1989 (nella foto) è stato, insieme a un altro studente, il primo laureato in Economia e commercio dell'Università di Trento. Ma tra i miei studenti ci sono stati anche l'attuale direttore generale dell'Università, Alex Pellacani, e Giancarla Masè, che lo ha preceduto. Tra i docenti ricordo Michele Andreaus, che è stato mio collaboratore. Tutti hanno apprezzato questa mia impostazione.
Le è dispiaciuto che abbiano tolto il corso dunque?
Non tanto perché era il mio, ma perché lo ritenevo importante per una laurea in turismo. Ma evidentemente i colleghi non hanno la sensibilità per queste cose. Il primo ad esserne sorpreso è stato il rettore Flavio Deflorian che mi ha chiamato. È stato molto carino.
Lei non è solo un professore, ma anche un esperto di montagna e di sci. Con il suo libro «Ski Spirit. Sciare oltre le piste» si è aggiudicato il Premio Gambrinus. Come ha conciliato questa attività con la docenza?
Per molti anni ho fatto il pendolare fra Trento e Torino, dove ero direttore della «Rivista della Montagna» e ho sviluppato un'attività giornalistica importante, mi dividevo tra le due città e nel fine settimana sceglievo dove andare a sciare in base alla neve che c'era. Se posso fare un'autocritica, come docente, è che avrei dovuto essere più presente. Ma il miglior complimento che ho ricevuto è stato quando una studentessa, dopo aver superato l'esame, ha tirato fuori il mio libro «Ski Spirit», dove racconto le mie più belle esperienze di viaggi con gli sci, dall'Antartico agli 8.000, e mi ha chiesto la dedica.
La passione per il mare, invece, da dove viene?
L'ho scoperta per caso quando un amico, a fine anni '70, mi ha invitato su una barca. Ho capito che quella sarebbe stata una esperienza essenziale per la mia vita. Dovevo comprare una mansarda a Trento, che oggi sarebbe stato un investimento, invece ho comprato una barca per attraversare l'oceano. Il vantaggio di fare il professore universitario è che puoi prenderti un mese per andare in barca a vela e fare più viaggi all'anno con gli sci. Il mio più grande desiderio è sempre stato quello di unire lo sci e la vela.
Ma come ha fatto a unire la vela e lo sci?
Ad esempio andando a sciare a Stromboli.
Scusi?
Sì, le isole in fondo sono montagne. Stromboli è un vulcano sempre attivo. Non lo consiglio a nessuno, perché è pericoloso e si rischia la vita, ma sono sceso con gli sci tra la lava. Passi tutta la notte in punta e poi calcoli quanto tempo passa tra un'eruzione e l'altra, con gli scarichi di lava, e decidi di partire in quel momento e di passare sotto le bocche del vulcano facendola franca.
Perché si fanno queste cose?
Non lo so. Era il periodo che Toni Valeruz per allenarsi per le sue discese estreme scendeva dai ghiaioni con gli sci. Allora, con alcuni amici ci siamo detti: perché non lo facciamo anche noi? Così parecchie volte abbiamo preso la funivia di Pordoi e siamo scesi dai ghiaioni del Sella. Non erano bravate, dal punto di vista dell'allenamento sono molto utili. Poi sono sceso con gli sci anche dalle dune del deserto del Namib, ma quello è puro trastullo, divertimento, non è pericoloso. Oggi va molto di moda sciare nel nord della Norvegia. Si affitta una barca e si va da un fiordo all'altro.
Qual è stato il suo ultimo viaggio?
Sono appena tornato dal Tajikistan, tra Afghanistan e Cina, nel cuore dell'Asia, sulla strada del Pamir, a 4.000 metri, un paradiso dello scialpinismo, ogni montagna lungo la strada è una scoperta e non c'è nessuno.
Le idee non le mancano.
No, ho tanti progetti, ma ora devo cercare di fare i conti con l'età, mi accorgo che sono sempre più lento nei dislivelli notevoli. Quest'anno compirò 82 anni.
E continua però anche a scrivere. Al Film Festival della montagna sarà presentato il suo ultimo libro «No fall lines». Di che si tratta?
Sarà presentato il 26 aprile al Salotto letterario del Film Festival. Ci ho lavorato tre anni. È un libro che fa la storia dello sci estremo, quello che oggi viene chiamato sci ripido.