Trento / Giustizia

Accusato di mobbing da due collaboratrici, assolto un funzionario pubblico

Le due donne sostenenevano che il comportamento del "capo" provocava attacchi di panico: nella denuncia affermavano di essere rimproverate perché troppo lente e negligenti, di venire caricate di lavoro, di ottenere in ritardo le autorizzazioni per ferie e permessi. Secondo il giudice, tuttavia, non c'è stato alcun maltrattamento sul luogo di lavoro

IL CASO Lavoratrice demansionata e invitata a dimettersi: processo per mobbing

di Marica Vigano'

TRENTO - Due collaboratrici lo avevano denunciato per mobbing: sostenevano di essere rimproverate dal "capo" perché troppo lente e negligenti, di essere caricate di lavoro, di ottenere in ritardo le autorizzazioni per ferie e permessi, di dover utilizzare un mobilio non in regola con le norme sulla sicurezza. L'uomo, funzionario ministeriale, con il suo comportamento avrebbe loro causato attacchi di panico. 

Secondo il giudice, tuttavia, non c'è stato alcun maltrattamento.

Vero è che ci fossero differenze caratteriali fra l'imputato, difeso dall'avvocato Nicola Canestrini, ed i dipendenti. Tuttavia, come spiega il giudice «non si può rendere colpevole soggetto di un reato di peculiare gravità, quale quello di maltrattamenti sul luogo di lavoro, per inadempimento ad un presunto obbligo di comportarsi in modo gradito ai dipendenti per tutelare la salubrità dei lavoratori».

L'imputato era stato denunciato per maltrattamenti e falsità ideologica per episodi avvenuti fra il 2013 e d il 2017, quando era reggente dell'Ufficio esecuzione penale esterna, con funzione di responsabile dell'organizzazione. In quel periodo erano in corso diverse collaborazioni e venivano attuati protocolli, con difficoltà logistiche ed amministrative confermate anche da un magistrato che aveva frequenti contatti con cui l'Ufficio esecuzione penale per un confronto sull'allora nuovo istituto della "messa alla prova". 

Allo stesso ufficio in quel periodo si interfacciavano associazioni, legali, cittadini, data la creazione di uno "sportello dei diritti". Il lavoro era tanto a fronte di un numero di dipendenti non sufficiente. E i rapporti fra colleghi non erano affatto distesi.Fra le accuse mosse al funzionario, anche quella di «offendere i dogmi della fede cristiana», perché avrebbe discusso sulla verginità della Madonna, argomento non gradito a una delle accusatrici.

Per il giudice Marco Tamburrino non è emersa prova né dell'intento persecutorio dell'uomo, né del legame fra i comportamenti di lui e le patologie psico-fisiche lamentate dalle due collaboratrici, entrambe appartenenti alla polizia penitenziaria. Una, in particolare, lamentava anche di essere stata costretta a smaltire cumuli di documenti depositati in archivio nonostante ciò le provocasse tosse. 

Riguardo all'aggressività verbale attribuita all'imputato, testimoni hanno spiegato che nelle circostanze contestate il tono di voce era stato alzato anche da una delle due donne. Sono stati sentiti una decina di testimoni, fra cui un sindacalista che ha spiegato come il funzionario facesse ogni sforzo per far andare avanti bene l'ufficio. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 2 anni e 9 mesi. 

Il giudice ha assolto l'imputato perché «il fatto non sussiste», conclusione a cui è giunta anche la Corte d'appello di Trento. 

«Non solo il dibattimento ha smentito l'ipotesi accusatoria - evidenzia l'avvocato Canestrini - ma al contrario è emerso un comportamento sistematico di opposizione, persino pervicace, da parte delle sedicenti vittime a ogni tentativo del direttore di rendere l'ufficio pubblico un luogo efficiente, dove il lavoro fosse organizzato con la stessa serietà che ci si attende in un'impresa privata. Il posto pubblico, retribuito dai cittadini, comporta una responsabilità supplementare, perché è una funzione al servizio della collettività».