Andrea Pucci, sabato prossimo all'auditorium, si racconta:
Il suo tormentone, quello che gli ha permesso di conquistare il grande pubblico catodico, suona È cambiato...tutto! , guida dei suoi monologhi in cui ironizza su quelli che possono essere i problemi di coppia e parla di situazioni bizzarre e assurde in cui lui si sarebbe trovato quasi esclusivamente per colpa della consorte. Uno slogan che ha fatto la fortuna di Andrea Pucci il protagonista del secondo appuntamento con la rassegna Cabarettiamo proposto da sabato prossimo all'Auditorium S.Chiara di Trento. C'è solo da ridere , questo il titolo dello show che Andrea Baccan (in arte Pucci) milanese classe 1965, ex gioielliere, propone, ci racconta in questa intervista, come la summa del suo fare cabaret.
Pucci, se le dico Trento a lei cosa viene in mente?
«Sarò banale, ma Trento materializza in me l'immagine di una enorme mela insieme ad un'idea di aria fresca e pura, di roba bella insomma. Poi il Trentino l'attraversavo quando andavo a fare il militare in Alto Adige a Bolzano e quindi scatena in me tanti ricordi di antica gioventù».
Tanti ormai dicono l'orso?
«Anche quello è ormai un simbolo della vostra terra. Ho seguito le polemiche sulla povera orsa Daniza e sull'operazione di cattura, diciamo maldestra, che ha infuocato molto gli animi. In quei giorni effettivamente il Trentino era ovunque? altro che mele!».
Venendo al suo show, che cosa ha infilato in «C'è solo da ridere» che porta a Trento?
«In questo show ci sono tutte le situazioni della vita che sono mie ma che in fondo possono essere di tutti noi o quasi. A partire dall'infanzia, fino all'adolescenza, per arrivare al rapporto con la moglie o con le donne in generale, senza dimenticare il lavoro o gli amici. Situazioni in cui appunto molti di possono identificare o ritrovare. Io queste situazioni le metto in satira».
Uno spettacolo che ha diviso idealmente in tre parti.
«Più che divise, direi correlate fra loro e si ritrovano nelle dimensioni: la società in cui viviamo, noi ed io per delineare tre momenti diversi che si intrecciando con l'obiettivo supremo di fare ridere».
La sua vis comica viene spesso definita come grottesca: si ci ritrova, Pucci?
«Mi va benissimo, però io mi ritengo prima di tutto un comico nazionalpopolare e quindi sostanzialmente anche grottesco. Fra i miei idoli ci sono Aldo Fabrizi, Alberto Sordi , Walter Chiari e Vittorio Gasmann. Tutta gente che ha avuto sempre un'interazione con il popolo».
Niente politica nei suoi monologhi: come mai?
«Quella la lascio a coloro - sorride Pucci- che si sentono considerevolmente più intelligenti e colti di me. Io appunto mi rifugio nel grottesco».
Ma qual è il target di pubblico a cui si rivolge?
«Con un pizzico di presunzione dico che mi rivolgo a tutti, dalle famiglie con i bambini agli adulti e agli anziani. Quando le vecchiette che hanno l'età della mia mamma mi vengono a fare i complimenti alla fine dello spettacolo io godo come un pazzo».
Ma com'è finito un gioielliere a fare cabaret?
«Io ho sempre fatto ridere. Facevo le imitazioni a scuola e imitavo e prendevo in giro benevolmente i clienti del bar tabacchi dei miei genitori. Ma la colpa è di Teo Teocoli che abitava proprio sopra il mio bar e tutte le mattine veniva a fare colazione da me. Vedevo che la gente lo osannava e gli voleva bene per davvero, così mi sono detto: Io devo fare questo lavoro qua. Ci sono riuscito e per questo sono davvero felice».
Le dà più soddisfazione la televisione, a cui deve molte anche grazie a «La sai l'ultima?» e «Colorado», o il teatro, il rapporto con la gente?
«Alla televisione appunto devo la grande popolarità di oggi ma devo dire che il teatro ti dà sensazioni uniche e irripetibili: quando si apre il sipario e ti trovi davanti il pubblico che è venuto li per sentire quello che dici, è un momento magico. Il palco mi trasmette tanta energia e mi carica».
Parliamo di cose pallonare: contento della sua Inter?
"Beh, contento è una parola grossa. Però l'Inter è la mia grande passione, quella che ti fa gioire ma anche soffrire. Quella di quest'anno mi sembra una squadra di matti, nel bene e nel male».
E una parola di consolazione per noi cugini rossoneri?
«Il povero Pippo Inzaghi sabato scorso si è affidato al rosario ma quando hai una squadra con poca qualità come il Milan di oggi anche i miracoli fanno fatica ad accadere. Al Milan più che all'Inter in questo momento manca un progetto e mancano i campioni».