Allevi a Trento: fra l'asteroide e i poeti maledetti

di Fabio De Santi

In un Auditorium già quasi sold out, pochissimi infatti i biglietti ancora a disposizione, Giovanni Allevi proporrà sabato prossimo a Trento il suo live set legato all'album Love . Un concerto per piano solo in cui il compositore traccia tredici percorsi che raccontano l'amore nelle sue molteplici forme, tra ispirazioni classiche e contemporanee, da Bach a Baudelaire , in un viaggio personale attraverso i sentimenti e lo spazio come ci racconta lo stesso Allevi. 
Allevi, le emozioni che attraversano il nuovo disco?
«Ce n'è una in particolare, che fa riferimento al brano Asian Eyes, e che sto scoprendo durante il tour. Eseguirlo mi conduce in uno stato di trance, forse a causa del carattere ipnotico della sua scrittura. Il pubblico sembra scosso nel profondo da quell'ascolto ed io mi ritrovo ad essere letteralmente svegliato dal suo applauso».
«Love», titolo impegnativo e universale.
«Nasce da una mia esigenza, che credo risponda ad un bisogno collettivo. È necessario riportare l'amore al centro della nostra esistenza, in un periodo imbevuto dall'odio per motivi ideologici».
Mi ha colpito una composizione come «My family»: cosa racconta in queste note?
«È una composizione dolce e solare, creata in un contesto diametralmente opposto: una riunione di famiglia avvolta nella tensione e nella confusione. La musica mi regala l'opportunità di riscoprire la poesia nascosta nella quotidianità». 
Asteroid 111561 com' è nata?
«Asteroid è un gesto di amore ricevuto. L' Agenzia spaziale americana Nasa, mi ha intitolato un asteroide ed a questo piccolo corpo celeste, in orbita tra Giove e Marte, ho voluto dedicare una composizione. Nelle sue note c'è tutta la gioia per quella che definisco la mia "beatificazione stellare"».
Un disco più meditativo o dolcemente irruento?
«Direi che è sempre più vero, profondo, sempre più vicino all'essenza delle cose. Ma è un percorso artistico che non avrà mai fine».
C'è anche Baudelaire. 
«Da sempre mi affascina il pensiero di Baudelaire, il più "umano" tra i poeti maledetti. La forma di amore più difficile da attuare è quello verso noi stessi. È allora illuminante riconoscersi come degli albatros, impacciati ed imbarazzati nel mondo quotidiano, per via delle nostre ali da gigante dietro la schiena. Dobbiamo accettare le nostre imperfezioni, e non dimenticare che il nostro destino è volare altissimo».
Il tour è partito da Londra in febbraio: che effetto le fa suonare davanti ad una platea internazionale?
«È stata un'emozione sconvolgente, non tanto per la platea internazionale, quanto perché la musica di Love incontrava il pubblico per la prima volta. Risuona ancora nella mia mente il calore di quegli applausi e l'inaspettata standing ovation alla fine del concerto».
Ancora una volta lei sarà sul palco da solo con il suo pianoforte: cosa la affascina di questa dimensione?
«Col pianoforte solo ho sempre lo stesso timore, cioè di vivere il concerto come se fossi un pesce dentro un acquario, dove il vetro mi impedisce di comunicare con l'esterno. Per fortuna questa mia paura viene puntualmente disattesa. È incredibile come la solitudine totale del pianoforte solo sia il viatico per una profonda condivisione collettiva».
Love è uscito anche in vinile.
«È stata un'idea dei tecnici degli Abbey Road Studios di Londra, dove il disco è stato masterizzato. Le stanze di quel luogo sono piene di lacche, bobine analogiche e circuiti valvolari, e i tecnici sono dei fanatici della purezza e dell'umanità del suono, che nel mondo digitale sembra essersi persa».
Nella fase finale ha invitato i suoi fan ad entrare in registrazione.
«Quel gruppo di ragazzi ha seguito i miei concerti da Tokyo a New York. Era il minimo che potessi fare».

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