Il brasiliano Marcos Valle apre Jazz'About a Rovereto
Primo evento live, domani, giovedì 5 novembre, con il musicista brasiliano Marcos Valle al Melotti di Rovereto, per la rassegna Jazz’About proposta dal Centro Santa Chiara.
Una serie di eventi che si intrecciano e lambiscono i territori del jazz classico per un cartellone che ha fatto discutere e continuerà a farlo appassionati di jazz e musicisti. Di certo Jazz’About guarda oltre i confini del jazz come evidenzia questa intervista con Denis Longhi che cura la rassegna di live fra Trento e Rovereto con artisti come Roy Ayers, Cinematic Orchestra, Mulatu Astatke, Bugge Wesseltoft, Robert Glasper e Matthew Herbert.
Denis in quale modo hai pensato la prima stagione di Jazz’About?
«Credo che tutti gli addetti ai lavori in questo momento storico abbiano una forte responsabilità e un obbiettivo fondamentale: restituire dignità, partecipazione e suggestioni propositive tramite il veicolo ?culturale?, sia esso contestualizzato nelle arti musicali che nelle forme collaterali legate ai mondi del cinema, e dell’arte audiovisiva e performativa. Esistono strumenti con un potenziale enorme, sia in termini di economia culturale, che di indotto e crescita sociale».
Con quale auspicio?
«L’obbiettivo è quello di fare in modo che una comunità virtuosa e fidelizzata come quella di Trento possa beneficiare di un’offerta di alto livello che guardi soprattutto ai modelli europei di riferimento, come Montreux Jazz o North Sea ad esempio. L’auspicio è coinvolgere un pubblico consapevole e trasversale, andando a insistere inoltre sui pubblici nuovi, penso in particolare alla variegata comunità universitaria».
La Jazz’About cosa delinea?
«Se vogliamo si tratta di una disambiguazione: potrebbe significare ?a riguardo del jazz?, oppure il jazz e i suoi dintorni?, ma in fondo risulta quasi una simpatica provocazione, il ?Jazz all’incirca?, cercando di scardinare alcuni preconcetti elitari che fissano paletti severi ad una delle più ancestrali forme di libertà di espressione musicale.
I puristi del jazz, categoria rispettabilissima tra l’altro, hanno già storto il naso davanti al cartellone che hai pensato. Io lo trovo ricco di spunti a partire da una band come la Cinematic Orchestra.
«Ognuno è libero di esprimere la propria opinione e credo che la natura di qualsiasi cambiamento passa necessariamente attraverso un conflitto e un confronto. Quindi è giusto che si parli e si discuta di questo cartellone live. La Cinematic Orchestra è la genesi di un percorso in cui la loro label di riferimento ?Ninja Tune? ha cambiato le prospettive di questo territorio musicale. L’applicazione leggera e appunto cinematica dell’elettronica al modello del jazz, colorando con temi aperti, ispirati al ?modale? di Bill Evans ma contaminati da influenze più ?trip-hop? britanniche. Loro hanno sicuramente fatto da spartiacque per una nuova generazione di musicisti».
Il gioco delle contaminazioni ci porta anche all’elettronica di Herbert.
«Lui è il genietto di questo territorio musicale, un nerd (nell’accezione più sana del termine) instancabile, che rivoluziona passo dopo passo il concetto di sperimentazione e applicazione dell’elettronica nel jazz e viceversa. Recentemente ho avuto la fortuna di metterlo a fianco di Giovani Guidi ed Enrico Rava in una produzione ?ad hoc’ a Vercelli, beh quello che è successo è davvero un passo avanti, una delle espressioni musicali che si avvicina maggiormente alla mia visione di Jazz’About».
Qual è il concerto da non perdere assolutamente?
«Nutro un forte affetto per Roy Ayers: a 75 anni ha ancora energia da vendere, è il maestro che ha ispirato intere generazioni appassionate di funk e blackmusic, la versione jazz e primordiale di Jamiroquai se vogliamo. Sicuramente per i puristi un potenziale ?bug?, ma forse converrebbe chiedere ad Eryka Badu o Kendrick Lamar cosa pensano del” re”».
Ci saranno anche dj set: come mai questa scelta?
«Credo sia importante creare una cornice più informale, un momento di scambio ed incontro anche prima e dopo le esibizioni in teatro.
La gente ha bisogno di comunicare, la musica è un linguaggio, non sono solo note o grammatica. Ritengo importante, quasi fondamentale esistano spazi e modi di aggregazione per creare un tessuto, una comunità, il fruitore della stagione non deve essere un “cliente” ma attore protagonista e consapevole».
Guardando alle prossime edizioni di Jazz’About chi sogni di portare a Trento?
«Herbie Hancock è il sogno, ci sto già lavorando fin d’ora. Per quanto riguarda le produzioni vorrei vedere sul palco Laurent Garnier insieme a Franco D’Andrea e Paolo Fresu».