Mart, ecco la nuova stagione che apre l'era di Maraniello

di Chiara Radice

Coprono tre secoli le esposizioni che il Mart, il Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto inaugura la sera di venerdì 4 dicembre per poi aprire i battenti a tutti da sabato mattina: un bel regalo di Natale del direttore Gianfranco Maraniello.

È, in realtà, un dono del team del museo, come ci tiene a sottolineare Maraniello, un primo passo che guarda ad una traiettoria che va via via configurandosi, un nuovo Mart che si sta delineando attraverso il lavoro di squadra, fortissimo e fondamentale.

«Non è l'esordio di Maraniello - sottolinea il direttore - è l'esordio del Mart. Abbiamo cominciato con il delineare le possibilità del museo e i suoi punti focali, dando così delle coordinate, alcune delle quali non possono essere transitorie. Da qui l'idea di rivedere la collezione permanente quale passaggio fondamentale», poiché è ciò che identifica un museo e gli permette di partecipare al contesto artistico e culturale mondiale, attraverso la partecipazione ad esposizioni dove il museo è chiamato a «raccontare quella che è l'identità specifica del museo».

Trova dunque nuova ed inedita collocazione una buona parte delle opere della collezione permanente del Mart: l'allestimento cronologico e tematico, pensato dal direttore con i curatori Daniela Ferrari e Denis Isaia, passa attraverso la riscoperta delle sale del museo, restituite al loro originale rigore spaziale così come Mario Botta le aveva progettate, rispettando le caratteristiche architettoniche ideate ad hoc per l'edificio espositivo, dove la modularità degli ambienti s'accende di bagliori naturali, senza artificiosità posticce che negli anni passati ne avevano alterato l'essenza.

Ed è proprio con l'edificio stesso che l'arte va a dialogare, in un continuo gioco d'interferenze e interpolazioni: le opere aprono nuovi territori, nuovi spazi che vanno oltre il confine della cornice, annullando la tradizionale concezione della pinacoteca che perde i suoi reali confini. Il riallestimento offre lo spunto per narrare le vicende della storia dell'arte italiana moderna, sin dalle sue origini nel Novecento: una cavalcata con incursioni nell'esperienza contemporanea, attraverso un paradigma che è quello dello sforzo dell'arte di disegnare e definire continuamente - invenzione del moderno - un progetto.
Ciò emerge, ad esempio, dall'esperienza delle Avanguardie storiche, che credettero con fiduciosa convinzione di poter entrare nelle vicende stesse della storia, per trasformare la società, mai immobile, sempre in divenire.

La progressione cronologica dell'arte non è l'unica chiave di lettura che le collezioni permettono di fare: il nuovo allestimento lascia infatti la possibilità all'osservatore, scevro da qualsiasi obbligo di percorso, di muoversi liberamente tra le opere, per scoprire nuove possibilità di fruizione e lettura, uscendo dalla dimensione storica dell'arte di un percorso per entrare in una dimensione trascendentale di un altro percorso, dove riflettere su cosa possa effettivamente dire, fare e pensare l'artista stesso in quanto tale.

Accanto agli spazi dedicati alla permanente, sarà visibile fino al 3 aprile l'esposizione temporanea «La coscienza del vero», con una scelta di un centinaio d'opere che raccontano cinquant'anni della cultura figurativa ottocentesca, tra il 1840 e il 1895, anno della prima Biennale veneziana, quando l'Europa artistica inizia a prendere sempre più coscienza del reale, grazie anche alla lezione di Gustave Courbet , che del Realismo fu maestro indiscusso.

A lui è dedicata una delle prime sale di un percorso espositivo che si dipana lungo due diverse declinazioni della meditazione sul vero e il rapporto che intercorre tra realtà e rappresentazione, nel dualismo verità-artificio: una distinzione «più o meno consapevole e cosciente - come spiega la curatrice Alessandra Tiddia nel saggio in catalogo - fra percezione del vero e illusorietà della visione, fra apparenza ingannevole delle immagini e immedesimazione dello spettatore, fra un linguaggio mimetico e impersonale e lo stile individuale e soggettivizzante (...) dove l'apice della veridicità coincide con il massimo grado dell'illusione. Più la pittura si avvicina alla riproduzione della realtà, più aderente è la relazione fra immagine e realtà, tanto più le modalità compositive si spersonalizzano e l'immagine diventa illusoria riproduzione, velo su cui si proietta la realtà. È in fondo la grande utopia della Fotografia che si affaccia come nuova Musa dell'immagine».

Un'invenzione, quella della fotografia, destinata a sconvolgere e sovvertire le regole dell'osservazione del vero, offrendo non solo un termine di paragone, ma anche uno strumento irrinunciabile d'indagine e riflessione per l'artista, che lentamente trascura l'oggettività in favore di una visione interpretativa più soggettiva.

Artisti locali e non, chiamati a raccolta per raccontare una pagina importante della storia trentina, italiana, ma anche di quella internazionale: «È necessità di un museo ? spiega Maraniello ? che ha vocazione territoriale, di cui è espressione ed ente strumentale. Dobbiamo pensare a come far partecipare questo territorio al dibattito internazionale, senza snaturarne la radice culturale: senza l'omologazione siamo in grado di partecipare costruttivamente al dibattito di ordine internazionale, perché possiamo essere internazionali proprio se non decidiamo di essere «una Tate Modern di derivazione», scimmiottando altri modelli. Dobbiamo crearne uno nostro, forte ed identitario che possa, proprio in virtù di questo, essere interessante a livello internazionale».


 

L'esposizione "Le Collezioni" nelle due sezioni "L'Invenzione del moderno" e "L'Irruzione del contemporaneo" sarà inaugurata venerdì 4 dicembre alle 18, in contemporanea con "La coscienza del vero. Capolavori dell'Ottocento. Da Courbet a Segantini"

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