Il camaleontico Campanella nel libro del giudice Forlenza
Religiosi e laici convertiti all’Islam oppure simpatizzanti del Sultano, volontari su navi dei pirati turchi o anche doppiogiochisti. È molto ricca la storia del rapporto fra Occidente cristiano e Islam, a cavallo fra i secoli XVI e XVII, spesso dimenticata di fronte all’attualità dei ‘foreign fighters’ e dei jihadisti italiani.
Su questa linea di analisi si muove una nuova biografia dedicata al frate calabrese Tommaso Campanella («Vita di Tommaso Campanella», Armando Editore, pp. 208, euro 18), scritta da Francesco Forlenza, magistrato del Tribunale di Trento e appassionato di storia (fra i suoi libri un saggio sul diritto penale nella Divina Commedia). Come giudice delle indagini preliminari si è occupato recentemente delle indagini su una cellula jihadista scoperta a Merano.
«Le radici del nostro presente sono nel passato che rimane in ombra», sottolinea Forlenza secondo il quale «dopo la Riforma protestante le contrapposizioni ‘di civilta» tra Islam e Occidente non furono mai nette e l’Islam esercitò un grosso fascino presso gli europei«.
Il magistrato ricorda la cospirazione armata contro i poteri della cattolicissima Spagna che Campanella tentò in combutta con le forze islamiche del Mediterraneo nel 1599. Una congiura che vedeva la partecipazione di frati e laici (furono arrestate dagli spagnoli 157 persone, di cui molti nobili) di concerto con l’ammiraglio turco Sinàn Pascià, che altri non era che il genovese Scipione Cicala convertito all’Islam.
«I Turchi, nel Mediterraneo - sottolinea Forlenza - si servivano di europei al loro servizio e di una politica di ralliement della monarchia francese dei cosiddetti re cristianissimi. I comandanti delle navi turche che scorrazzavano nel Mediterraneo e ne devastavano le coste erano europei, cristiani rinnegati e convertiti all’Islam.
L’ammiraglio della flotta turca a Lepanto si chiamava Uluc Alì, ma il suo vero nome era Giovanni Dionigi Galeni, un calabrese; il pirata musulmano Kair el Din Barbarossa era un greco di Mitilene, e al servizio dell’Islam c’erano anche olandesi, ungheresi, inglesi e veneziani a cominciare da Andrea Celeste, noto come Hassan il Veneziano, che divenne pascià di Algeri ed ebbe come schiavo lo scrittore Miguel Cervantes che era stato ferito nella battaglia di Lepanto e fatto prigioniero».
E in quell’epoca di grandi rivolgimenti tra Inquisizione e Controriforma, affermarsi degli Stati nazionali, consolidarsi del metodo scientifico moderno, guerre e miseria delle plebi meridionali soggette a malversazioni dei vicerè e a incursioni barbaresche, si inserisce la figura eclettica di Campanella. Una vita avventurosa, simile ad un romanzo, quella del frate domenicano, accusato di ogni sorta di reato, dalla violenza sessuale all’eresia e alla rivolta armata, fino all’episodio della congiura fallita contro il vicerè di Napoli, organizzata nel 1599 con la complicità di nobili calabresi e perfino del pirata turco Bassan Cicala. Condannato a morte, Campanella riuscì a scampare al patibolo fingendosi pazzo. I successivi trent’anni li trascorse in carcere, da dove riuscì a fuggire e a rifugiarsi a Parigi alla corte di Richelieu.
«Camaleonte come ogni intellettuale italiano, Campanella fu di volta in volta eretico, filomusulmano, cattolico tradizionalista, anticlericale e papista, filospagnolo e antifrancese e poi l’esatto contrario», sottolinea Forlenza.
D’altra parte «Bello è il mentir, se a far gran ben si prova» era uno dei motti del frate ribelle.