Veronica Lario: «Ecco perché ho diritto a 1,4 milioni al mese»
Per Veronica Lario sono due gli elementi «decisivi» in base ai quali ha il diritto all’assegno di 1.4 milioni al mese, disposto dal Tribunale di Monza in sede di divorzio e lo scorso novembre revocato dalla Corte d’appello di Milano: il suo contributo alla «conduzione familiare» con la «rinuncia» alla carriera d’attrice per dedicarsi «all’educazione dei tre figli» consentendo a Silvio Berlusconi di «costruirsi un’immagine di capo di una famiglia felice, largamente sfruttata nella propria vita politica», e la «durata del matrimonio (..) trentennale», vent’anni di vita coniugale e dieci di convivenza durante la quale sono nati Barbara, Eleonora e Luigi.
È uno dei passaggi finali del ricorso con cui la ex first lady, tramite il suo avvocato, Cristina Morelli, chiede alla Cassazione di azzerare il provvedimento, per lei «surreale e iniquo», con cui i giudici di secondo grado, applicando anche la cosiddetta sentenza Grilli (quella che ha sostenuto che in certi casi il mantenimento del tenore di vita precedente il divorzio non è più un diritto) le hanno cancellato il maxi appannaggio mensile a partire dal marzo 2014, costringendola a restituire al leader di FI, assistito dall’avvocato Pier Filippo Giuggioli, circa 45 milioni.
Veronica nell’atto di impugnazione, con il quale ha chiesto di ‘cassarè punto per punto la sentenza della Corte milanese, ha ricordato anche le «ragioni della decisione (..) per altro notorie (...) che hanno determinato la crisi irreversibile del matrimonio», e nel 2009 a «chiedere la separazione coniugale».
Ragioni che aveva messo nero su bianco anche in una lettera inviata all’Ansa nella quale l’allora signora Berlusconi fece un pesante atto d’accusa sulle «veline» candidate dal marito alle elezioni europee e si era lamentata del fatto che lui aveva partecipato alla festa dei 18 anni di Noemi Letizia, mentre non era mai «venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato».
In più Veronica, al secolo Miriam Bartolini, tra le ragioni addotte per riottenere il maxi assegno di divorzio, o altrimenti riconsiderare la decorrenza della sua revoca, ha ribadito di aver «rinunciato in giovane età alla carriera di attrice per dedicarsi interamente» alla casa e ai figli. Cosa questa da cui l’ex premier ha tratto due vantaggi: «potersi più liberamente e intensamente dedicare alle proprie molteplici attività imprenditoriali», e «costruirsi un’immagine di capo di una famiglia felice, largamente sfruttata nella propria vita politica». A ciò si aggiunge la «durata del matrimonio» che «può ben considerarsi trentennale», compresi i 10 anni di convivenza.
Qualche mese fa i giudici di secondo grado avevano ritenuto, invece, che «con lo scioglimento del matrimonio» fosse «venuto meno il diritto» di Veronica« all’assegno di mantenimento in quanto è economicamente autonoma: può contare su »un cospicuo patrimonio, oltretutto costituitole integralmente dal marito« nel corso della loro relazione nata nel 2009 con il loro incontro alla fine di una sua interpretazione al Teatro Manzoni di Milano, di cui l’ex premier era diventato proprietario.
Tale patrimonio, hanno scritto sempre i giudici milanesi, è stato costituito da lui proprio con il fine di garantire e preservare alla ex moglie »anche per il futuro le aspettative maturate«, e cioè quel tenore di vita elevato del quale ha sempre goduto prima della rottura del loro matrimonio.