The Mountain, la lobotomia come opera d'arte
Quello che impressiona di più di The Mountain di Rick Alverson (The Comedy, Entertainment), in corsa per il Leone d’oro in questa 75/ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è l’interpretazione di Tye Sheridan (22 anni e 19 film all’attivo).
L’attore, scelto tra diecimila pretendenti per The Three of Life di Terrence Malick, è davvero perfetto nel ruolo di Andy, ragazzo problematico, occhi bassi ma potenziale violenza in corpo, che a un certo punto si mette al seguito di un famoso lobotomista compulsivo, il Dr Wallace Fiennes (Jeff Goldblum), che promuove la propria desueta pratica medica solo per smania di guadagno e fama.
Il silenzioso Andy diventerà il suo assistente, in qualità di fotografo, delle «vittime» da lobomotizzare. Nel film, poco apprezzato alla prima proiezione stampa (qualche applauso e qualche fischio), tutta una serie di sequenze-quadro di lobotomie, di ospedali psichiatrici degli anni Cinquanta e di scarni interrogatori di quelle che saranno le future vittime del dottore.
Andy, che ha avuto la madre lobomotizzata dallo stesso Dr Wallace, comincia poi ad identificarsi con i suoi pazienti, in particolare con la figlia, Susan (Hannah Gross), di un carismatico leader del nascente movimento New Age, Jack (Denis Lavant) incontrato sul monte Shasta e che ha chiesto al dottore di lobotomizzare la figlia mentalmente instabile.
Un film difficile, scarno e senza speranza quello di Alverson, definito dallo stesso regista un film anti-utopico: «Abbiamo un eccesso di narrazioni utopiche nelle società ricche, un modello secondo me più funzionale per la parte del mondo povera. C’è insomma una quantità sproporzionata di film che cavalcano ideali nella nostra epoca e credo che questo non sia affatto necessario».
Il dottor Fiennes, spiega il regista «è liberamente ispirato al dottor Walter Freeman, che divulgò e inventò la lobotomia basata su una procedura europea. Alla fine, finita la moda di questa pratica cominciò a portarla avanti in modo sempre più approssimativo e veloce. Nel 1954 poi, la lobotomia cade ancora più in disgrazia con l’arrivo sul mercato di un farmaco: il Torazin».
«The Mountain» riconosce Rick Alverson: «Ha una struttura iper-formale. Volevo che il tutto somigliasse alle nature morte anche grazie al formato 4:3. Penso addirittura possa essere considerato un film atrocemente formale e spero quasi che ciò accada davvero. La narrativa secondo il mio punto di vista - conclude - non deve essere facilmente digeribile e consumabile proprio come è The Mountain».