Reitman apre il 36° Torino Film Festival
The Front Runner di Jason Reitman (il regista di «Juno» e «Tra le nuvole») ha aperto venerdì sera la 36esima edizione del Torino Film Festival (che si concluderà il 1° dicembre), il secondo in Italia per importanza dopo la Mostra del cinema di Venezia.
Il nutrito programma propone 133 lungometraggi, 23 medi e 22 corti proiettati più volte nell’arco degli otto giorni di durata della manifestazione distribuiti in varie sezioni: il Concorso per opere, prime, seconde e terze; il fuori concorso Festa Mobile (con gli ultimi lavori di Nanni Moretti, del cinese Jia Zan-Ke e di James Franco; il fuori concorso di film di genere After Hours con alcuni titoli sul mondo del lavoro oggi; i documentari con una parte dedicata alle produzioni italiane in TFFDOC; Onde con la proposta di lavori sperimentali; Notte Horror; tre retrospettive dedicate a Jean Eustache (uno dei maestri della nouvelle vague suicidatosi a 41 anni nel 1983), ai maestri del cinema britannico William Powell ed Emeric Pressburger (20 lungometraggi a soggetto tra il 1939 e il 1972) e a Ermanno Olmi documentarista.
«The Front Runner» ricostruisce la storia di Gary Hart, il senatore del Colorado candidato del Partito Democratico alle presidenziali Usa definito «l’uomo che avrebbe potuto cambiare la Storia», che nel 1987 fu costretto a ritirarsi dalla corsa elettorale a causa di uno scandalo sessuale. Hart era considerato il favorito per il suo intelligente idealismo e per la sua capacità di galvanizzare l’elettorato.
Nel 1988 fu eletto George Bush che diede il via alla Guerra del Golfo. Reitman, che considera la improvvisa caduta di Hart (Hugh Jackman) uno spartiacque nella storia degli Usa e non solo, ha costruito la narrazione secondo lo stile del cinema americano di inchiesta corale (da Altman a Estevez) indagando tra collaboratori, giornalisti, sostenitori e familiari per raccontare i giorni che affossarono la carriera politica del protagonista e le aspirazioni di molti americani, ha affermato: «Volevo che, con il suo stile, il film domandasse costantemente agli spettatori di decidere cosa fosse più importante guardare. Non si tratta di dire che in politica non dovremmo mai parlare di difetti personali, il punto è un altro. Dovremmo chiederci piuttosto: che cosa stiamo tralasciando quando i difetti personali assorbono tutta l’attenzione? Quali domande non ci stiamo ponendo?»