Al Castello del Buonconsiglio la mostra che racconta la storia dei tessuti sacri con quadri, preziosi velluti e ricami
Capolavori in mostra al Castello del Buonconsiglio, a cominciare da quella deliziosa Madonna con bambino grande opera del fiammingo Maestro di Hoogstraeten, che è stata prestata dagli Uffizi di Firenze.
La mostra si è aperta ieri al Castello del Buonconsiglio, con un titolo suggestivo: Fili d'oro e dipinti di seta. Velluti e ricami tra Gotico e Rinascimento.
Nelle sale del Castello la mostra racconterà la storia dei tessuti sacri attraverso quadri e preziosi velluti e ricami tra il Quattro e il Cinquecento. Opere di pittura e di sete in questa esposizione nel Museo guidato dalla direttrice Laura Dal Prà , che apre anche il catalogo con un bel testo introduttivo.
Piviali in luminoso velluto, pianete scintillanti di oro e d'argento, rare dalmatiche con ricami in fili di seta variopinta, preziose stoffe fiorentine e veneziane dai molteplici ornati, oltre ad alcuni importanti dipinti sacri di Altobello Melone, Michele Giambono, Francesco Torbido, Rocco Marconi, e i due magnifici dipinti del misterioso, ancorché geniale, Maestro di Hoogstraeten, per raccontare sì tele e tessuti, sete e ricami, ma anche come questi siano stati raffigurati nell'arte attraverso alcuni preziosi dipinti. Una documentazione che racconta l'affascinante storia dei preziosi manufatti tessili eseguiti tra la seconda metà del XV secolo e primi decenni del XVI secolo in Italia e nel Nord Europa.
Si tratta di capolavori in velluto con ricchi ricami in seta e oro prodotti presso centri che all'epoca avevano raggiunto un assoluto grado di perfezione tecnica e formale, come Firenze, Venezia e Milano. Tra questi manufatti, godibili da oggi al Buonconsiglio, vi è il preziosissimo parato di papa Niccolò V del Museo del Bargello di Firenze, commissionato nel 1450 dalla città di Siena e donato al pontefice in occasione della canonizzazione di San Bernardino, ma anche il cappuccio di piviale del Castello Sforzesco di Milano, appositamente restaurato e decorato con un ricamo per il cui disegno preparatorio si ipotizza il nome del grande Botticelli.
Dopo oltre cinque secoli, affiorano capolavori che testimoniano influssi di diverse tradizioni tessili, comprendendo anche esempi che denunciano la circolazione di manufatti importati da grandi centri di produzione transalpini tramite gli intensi scambi commerciali tra la penisola italiana e i fiorenti mercati delle Fiandre e del Reno e il desiderio di sfarzo dei più facoltosi committenti.
La mostra è la prima iniziativa che approfondisce questa particolare categoria di lussuosi tessuti ricamati, ancora presenti nelle aree dell'arco alpino, a suo tempo creati sia per la committenza religiosa sia laica, ma sopravvissuta fino ad oggi grazie alla lungimirante attività di conservazione della Chiesa e alla passione di molti collezionisti. Al Buonconsiglio viene valorizzata una produzione di opere che si rivela preziosa per comprendere l'altissimo livello raggiunto dalle botteghe di tessitori e ricamatori italiani al "tramonto del Medioevo" anche grazie all'introduzione di innovative soluzioni imprenditoriali.
Nel Castello del Buonconsiglio viene pertanto esposta - fino al 3 novembre - una quarantina di paramenti sacri, oltre a una selezione di dipinti su tavola che ne illustrano funzioni e fogge, in parte presenti nelle collezioni del museo e in parte ottenute in prestito da parrocchie, da Musei diocesani e da istituzioni prestigiose come il Castello Sforzesco di Milano, la Galleria degli Uffizi, il Museo Correr e Palazzo Mocenigo di Venezia, i Civici Musei di Padova, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, l'Accademia Carrara di Bergamo, il Museo di Palazzo Madama di Torino, il Museo del Tessuto di Prato, la Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona, Castelvecchio di Verona.
Ha scritto Laura Dal Prà che «nella storia della conversione religiosa di Francesco d'Assisi, figlio di un ricco mercante di stoffe, Pietro di Bernardone, il momento culminante della sua pubblica rinuncia all'eredità paterna e a un destino agiato, nel 1206, fu la decisione di privarsi pubblicamente delle ricercate vesti che indossava.
Al suo gesto eclatante, che fece adirare il padre, corrispose quello prontamente compiuto dal vescovo Guido, che usò il proprio piviale per coprire la nudità del giovane, esprimendo simbolicamente la protezione della Chiesa accordata al nuovo convertito».
Va tenuto in conto che abiti di gran foggia di quel periodo potevano costare quanto una abitazione, quindi la rinuncia a vesti di grande fattura, magari impreziosite da qualche ricamo d'oro, era gesto di non poco conto, sicuramente un sacrificio maggiore di quanto noi si possa immaginare.
Dunque, ricorda Dal Prà il detto "l'abito non fa il monaco", può essere contrapposto al detto «altrettanto antico, raccolto da Erasmo, che recita "l'abito fa l'uomo"». E così il testo introduttivo del catalogo di Laura Dal Prà diventa una dotta e bella carrellata sulla mostra, ma soprattutto sui particolari di una storia del tessuto che ha significato potere, tra colori sgargianti e velluti imponenti.