Fra jazz, soul e pop nasce «Plastica»
E’ un intreccio fra jazz, soul e pop quello che si materializza in Plastica il debutto discografico di Damiana Dellantonio in arte Dami.
La cantante trentina, nata a Panchià e che risiede a Sopramonte, si è laureata in canto jazz al Conservatorio Bonporti di Trento per continuare il suo percorso avvicinandosi al soul grazie a Serena Brancale, con la quale tuttora collabora. “Plastica”, segnato da un cantato in italiano, unisce le esperienze maturate nel tempo soprattutto all’insegna delle contaminazioni sonore.
Dellantonio, com’è nato il suo primo album?
«Nel corso degli ultimi anni ho lavorato su una ricerca di stile più personale. Per molto tempo mi sono esibita in veste di esecutrice, mentre in un periodo più recente ho cominciato ad avvertire la necessità di delineare un personaggio artistico con una sonorità più definita. Da lì la scelta di un repertorio molto più specifico, inizialmente di cover».
E poi?
«La stesura di inediti è stata una conseguenza piuttosto naturale, frutto di una selezione via via più accurata e di un’elaborazione di linee melodiche, ritmiche e armoniche che già si stavano tratteggiando da parecchio tempo nella mia testa. Non c’è stato un momento specifico in cui ho avvertito la necessità di esprimermi in una particolare maniera: ho avuto la fortuna di collaborare con strumentisti che hanno avuto fiducia nelle mie idee e mi hanno incoraggiata a coltivarle, rafforzando un obiettivo che già si stava facendo strada».
Le sue radici sono nel jazz ma in questo disco ci sono anche altre sonorità.
«Tra i generi che mi hanno maggiormente influenzata c’è la black music, che emerge con prepotenza nel disco e, in generale, nel mio modo di cantare. Mi sono resa conto delle mie origini che non hanno nulla a che fare con quelle degli artisti che tanto ascolto come D’Angelo, Erykah Badu, Robert Glasper, Common. Le mie influenze maggiori si trovano infatti nella corrente neo soul italiana, di artisti quali Serena Brancale, Ainè, i Funk Shui, determinanti per la ricerca di un mio sound».
Ma c’è anche dell’elettronica.
«Sì, ultimamente mi affascina molto questo mondo: penso che la canzone "Poy" rifletta in maniera evidente questa mia recente scoperta. La maggior parte dei suoni del cd, del resto, ad eccezione di piano, della batteria e dei fiati, sono sintetizzati. Aggiungerei infine del sano pop, di quello con le linee melodiche molto cantabili, dai ritornelli che rimangono in testa, retaggio di ascolti probabilmente più inconsapevoli e superficiali ma fondamentali».
Le piace quindi spaziare fra i generi?
«Moltissimo. Di fatto fatico a etichettare i brani come appartenenti a un determinato genere, spesso sono una commistione di sonorità e mondi molto lontani tra loro».
Da dove la scelta di cantare in italiano?
«E’ la mia lingua e nel momento in cui ho deciso di produrre un repertorio mio la scelta è stata inevitabile: le mie canzoni sono la mia proiezione in musica. Però non è stato per niente facile: ho sempre cantato in inglese e l’italiano mi ha caricato di una sorta di responsabilità ulteriore».
Chi ha collaborato alla realizzazione del cd?
«Indispensabile il ruolo di mio fratello Riccardo, pianista, con cui suono letteralmente da tutta la vita: sue le mani dietro la maggior parte dei suoni. Prezioso il lavoro del batterista Andrea Polato che ha colto le mie idee arricchendole con ritmiche intriganti. Anche Marco Sirio Pivetti, che ci ha registrato nel suo studio, i Metro Records di Riva del Garda, ed ha curato i mix ha rivestito un ruolo capitale per la realizzazione del disco. "Plastica" è un lavoro di squadra che racchiude perfettamente la mia idea di musica che va fatta insieme e deve derivare dall’incontro di stimoli lontani tra loro, da un dialogo tra persone creative. Nel cd anche gli interventi di flicorno e di flauto rispettivamente di Christian Stanchina e Serena Marchi. La copertina è stata creata, a partire dalla musica, senza un’immagine già delineata, da Sabrina Rungaldier, artista di grande talento, a cui ho dato totale carta bianca».