Ad Oriente Occidente l'inchiesta di Euronews sulle migrazioni ambientali in Europa
Realizzata in sei Paesi europei “Europe’s Climate Migrants” dimostra come le migrazioni climatiche siano già realtà in Europa: invisibili agli occhi dei media e dell'opinione pubblica, ma sempre più frequenti. Ne abbiamo parlato con Marta Rodriguez Martinez
ROVERETO. Il cambiamento climatico rende sempre più devastanti e frequenti gli eventi in grado di portarci via casa,in una sola notte e quando aria, acqua, terra e fuoco colpiscono, distruggendo tutto, si diventa “sfollati”, numeri in un database. La maggior parte riesce a rialzarsi, ricostruire, ritornare, ma c’è chi non ce la fa ed è costretto a partire.
È questo il punto di partenza dell’inchiesta esclusiva di Euronews “Europe’s Climate Migrants”, realizzata grazie al supporto di journalismfunds.eu, presentata oggi, sabato 11 alle 17.30, alla Sala Conferenze del Mart per la sezioni Linguaggi di Oriente Occidente, dai giornalisti di Euronews Lillo Montalto Monella e Marta Rodriguez Martinez nell’incontro moderato da Roberto Barbiero del Tavolo trentino del Clima. Realizzata in sei Paesi europei “Europe’s Climate Migrants” dimostra come le migrazioni climatiche siano già realtà in Europa: invisibili agli occhi dei media e dell'opinione pubblica, ma sempre più frequenti. Ne abbiamo parlato con Marta Rodriguez Martinez.
Da quali presupposti è nata la vostra inchiesta?
"Si comincia a parlare di migrazioni climatiche in Europa, ma i migranti sono sempre quelli che arrivano da altri continenti. In questo senso l'Europa sembra posizionata sempre solo come destinazione dei migranti. Noi siamo due giornalisti abituati a coprire eventi meteorologici estremi in Europa e abbiamo cominciato a chiederci cosa succede alle persone che perdono le loro case, in un incendio, in una situazione estrema. Ci chiedevamo: "Tornano tutti indietro? Tornano alle loro vite? è possibile per tutti? Cosa succede a coloro che si trovano costretti ad andarsene?" Queste sono le domande che io e il mio collega Lillo Montalto Monella ci siamo chiesti e da qua nasce la nostra inchiesta, partendo dal presupposto che la migrazione climatica esiste già in Europa e che non viene ancora considerata come un problema reale".
Quanto tempo avete impiegato a raccogliere i dati e le informazioni necessarie?
"Circa nove mesi, dal momento in cui siamo riusciti a raccogliere i dati fino a quando abbiamo potuto viaggiare in questi luoghi che avevamo selezionato in Europa, colpiti da eventi meteorologici estremi. I Paesi sono stati Bosnia-Erzegovina, Francia, Spagna, Moldavia, Germania e Portogallo e siamo sempre andati in villaggi e paesini, posti rurali che abbiamo scoperto che sono stati quelli più colpiti. Trovare i dati è stato molto complicato, i paesi europei non controllano quante persone lasciano le loro città, paesi o villaggi in reazione a un incendio per esempio. Inoltre per scoprirlo è necessario tornare sul posto anni dopo il disastro, non è facile avere il dato corretto subito dopo il disastro. Per trovare questi dati abbiamo contattato l'Internal Displacement Monitoring Centre e quindi siamo andati a cercare gli eventi climatici estremi che hanno coinvolto il maggior numero di sfollamenti in Europa e loro stanno facendo il monitoraggio che per noi è stato più utile per questa ricerca".
Qual è il quadro che emerge?
"Con quei dati siamo andati nelle città che erano scomparse distrutte dagli eventi e nelle nuove città che si sono ricostruite. Facendo questi viaggi siamo riusciti a rintracciare alcuni degli sfollati che hanno deciso di andarsene per sempre. Possiamo dire che i migranti climatici esistono in Europa anche se molte di queste persone fanno fatica a definirsi tali. Definirsi come qualcosa che non capisci, che non sai cosa sia è molto difficile. La maggior parte di queste migrazioni non sono come le immaginiamo, per questo che non riusciamo a dare una definizione.
La maggior parte dei migranti climatici europei si trasferisce a pochi chilometri da casa, se questo è possibile, sfuggendo al trauma che hanno vissuto ma cercando di mantenere le proprie radici, e questo è molto importante. Abbiamo trovato anche delle persone che sono andate in altri paesi, ma per motivi economici. Se economicamente è possibile rimanere, le persone rimangono".
Quale invece il dato più eclatante che appare nella vostra inchiesta?
"Queste migrazioni non sono un fenomeno minore, questo è il dato più importante che abbiamo imparato. In Europa nel 2018 si sono verificati trentanovemila tipi di sfollamenti per disastri naturali, come eruzioni vulcaniche e terremoti. Nel 2020 centocinquanta duemila. In soli tre anni la cifra si è quasi quadruplicata. Eppure per i governi europei sono dati non importanti: non esistono politiche per questa nuova realtà sociale".
Avete trovato la collaborazione delle istituzioni europee e dei singoli Paesi oppure, come spesso capita, siete stati ostacolati nella vostra ricerca?
"L'ostacolo principale che abbiamo trovato nella ricerca sia delle istituzioni europee, come dei paesi è la completa assenza di dati e di monitoraggio dopo l'evento meteorologico estremo. I Paesi europei non hanno banche dati in questo senso e non c'è praticamente nessuna ricerca a livello europeo. L'unico modo per scoprire chi se n'è andato davvero è andare nelle comunità colpite e chiedere ai vicini: è questo che noi abbiamo fatto".
La politica è consapevole della gravità della situazione riguardo ai “migranti climatici”?
"La questione non è ancora sul tavolo della discussione politica europea. Si parla di cambiamento climatico come un pericolo futuro ma quel che abbiamo capito con questa inchiesta è che il problema sta già accadendo. Quando si parla di migrazione, la politica europea si concentra sulle migrazioni dall'esterno. C’è un'idea molto stereotipata di cosa sia un migrante e delle condizioni in cui arriva, dimenticandosi che anche gli europei possono diventare dei migranti dall'oggi al domani a causa del cambiamento climatico. Noi tutti possiamo perdere la nostra casa, per un'inondazione ed essere costretti a cambiare città o paese o villaggio. Per noi la parte interessante in questa ricerca è che abbiamo trovato realtà simili in una delle regioni più ricche del continente, la Baviera in Germania, come nel paese più povero dell'Europa, la Moldavia: siamo tutti vulnerabili al cambiamento climatico".
Oltre le immagini come si possono sensibilizzare i cittadini europei sui processi in atto nella connessione fra migrazioni e clima?
"Una delle cose che ci ha più colpito è che i cittadini non erano preparati, non sapevano che cosa li avrebbe potuti colpire. Tuttavia una volta che l'evento catastrofico si è verificato, sia un'inondazione o un incendio, abbiamo parlato con delle comunità più resilienti, formate dalle persone che sono rimaste. Queste comunità si organizzano, si informano, fanno conversazioni per essere preparati alla possibilità che accada di nuovo e sul rischio reale del cambiamento climatico: chi ha vissuto un evento di questo tipo è consapevole della sua esistenza. Per questo siamo convinti che questo dovrebbe accadere in ogni comunità d'Europa. Bisogna smettere di parlare del cambiamento climatico di un rischio astratto e occorre cominciare a parlare di cosa può in realtà capitare. Bisogna prepararsi, sia per avere un piano in caso di evacuazione sia per prevenire molte esperienze traumatiche che sono quelle a cui non possiamo dare delle cifre, ma che sono molto importanti".