Memoria, Liliana Manfredi: quel giorno i nazisti sterminarono la mia famiglia, io "graziata" da quel soldato
La toccante testimonianza della donna che nel volume “Il nazista e la bambina”, presentato a Trento, racconta la drammatica vicenda del giugno 1944 quando sulle colline di Reggio Emilia fu tra le 35 persone fucilate ma lei sopravvisse e un militare tedesco la aiutò a salvarsi
TRENTO. Giugno 1944: a Bettola sulle colline di Reggio Emilia trentacinque civili venivano barbaramente trucidati dai nazisti.
Unica a salvarsi in quella terribile carneficina fu Liliana Manfredi una bambina allora undicenne.
Fucilata insieme alla mamma e ai nonni Liliana rimase solo ferita e tentò una fuga rocambolesca fino al fiume.
Ed è lì, sul greto del torrente Crostolo, con una gamba spezzata e tre pallottole in corpo, che un soldato tedesco addetto al giro di ricognizione post-strage trovò la bimba nascosta nell'erba e invece di darle il colpo di grazia la portò di peso sulla strada rischiando la corte marziale pur di salvarle la vita.
Una storia toccante che, dopo sessant’anni di silenzio, Liliana Del Monte Manfredi (nella foto di Federica Farina) ha trovato la forza di raccontare nel libro “Il nazista e la bambina” presentato lunedì sera al teatro Sociale nell'ambito del Festival Living Memory invitata dall'associazione Terra del Fuoco Trentino.
Liliana Manfredi, qual è il ricordo di quel giugno 1944?
“L'immagine più brutta che ho sempre in mente è quando sono uscita da sotto le lenzuola dal letto dei miei nonni e li ho visti entrambi morti insanguinati e mia mamma al loro fianco.
I soldati tedeschi li avevano uccisi, e poi avevano buttato benzina e incendiato tutto. L'unica via di fuga era una finestra sul retro della casa e istintivamente mi sono buttata.
Cadendo mi sono rotta una caviglia, mi sono trascinata nell’erba alta fino al torrente Crostolo e sono rimasta lì tutta la notte. Negli anni mi sono chiesta come ho fatto a reagire, a fuggire perché a undici anni si è ancora bambini ma credo che sia stato proprio l’istinto perché in quelle situazioni non hai neanche il tempo di pensare a quello che vuoi fare”.
Quale immagine ha di queggli uomini e ragazzi dell'esercito nazista autori di quel terribile massacro di civili?
“Li vedevo con gli occhi di una ragazzina. Sapevo che c'era la guerra anche se allora gli adulti non parlavano mai di certe cose con i più piccoli. La pensavo molto lontana da me. Noi abitavamo sulla statale e vedevo passare i tedeschi ma mi sembravano degli eroi perchè non avevamo mai visto delle persone in divisa. Vivevo tranquilla, non avevo paura di loro perchè non si sa sapeva molto di quello che accadeva”.
La speranza, in tanta barbarie, è racchiusa nel gesto in quel soldato addetto al giro di ricognizione post-strage che la vide e invece di darle il colpo di grazia la salvò: l’ha mai incontrato?
"No, non ho mai più rivisto quell’uomo. Portandomi sul ciglio della strada avrà pensato che qualcuno mi avrebbe trovata. Così facendo lui ha disubbidito a un ordine, forse l'ha fatto essendo da solo, per pietà o perchè aveva provato vergogna per quello che aveva fatto prima o magari era tornato in sé. Non lo saprò mai ma portandomi sulla strada ha permesso che mi trovassero e di fatto mi ha salvata”.
Fino a che punto si può arrivare a perdonare chi ha cambiato in maniera indelebile la sua esistenza?
“Me lo chiedono spesso anche i ragazzi a cui racconto la mia storia. Io rispondo che non li ho mai odiati perché sono le guerre che tirano fuori il peggio dagli uomini e che in fondo i soldati dovevano eseguire degli ordini. Non ho mai avuto rabbia e non ho mai odiato nessuno perchè non si fa una bella vita se dentro di te covi odio e continui a roderti dentro. Ho trovato la forza di vivere una vita normale, di andare avanti perchè anche con questo immenso dolore la vita continua”.
Grazie al libro “Il nazista e la bambina” lei porta la sua testimonianza: quanto è importante tenere viva la memoria?
“Penso sia necessario raccontare questi eventi perché la memoria insegna il futuro affinché questi episodi non possano succedere mai più. Purtroppo ce ne sono ancora: non è che abbiamo imparato molto dalle esperienze del passato. Credo proprio che le guerre non portino niente se non miseria e morte. La guerra è questa”.
Come reagiscono i giovani che vengono ad ascoltarla?
“Sono sempre molto silenziosi, attenti e fanno tantissime domande perchè a loro sembra così inverosimile che siano successe delle cose del genere. Mi chiedono perchè non ne ho scritto prima, ma ho sempre pensato che fosse una cosa molto personale, che era accaduto a me e che non potesse interessare gli altri. Mio nipote e le mie figlie hanno insistito parecchio e ci hanno messo un anno a convincermi a farlo.
È stato complicato perchè per sessant’anni non ne avevo parlato con nessuno se non in famiglia.
Pensavo fosse una cosa che poteva interessare solo la mia terra ma quando è uscito il libro hanno iniziato a chiamarmi da diverse città ed è stato un incubo.
All'inizio ero quasi pentita, è stata dura perché non ero preparata a parlarne con altri, poi quando ho visto che i ragazzi erano così interessati alla mia esperienza ho pensato che avevo fatto bene a raccontarmi in quelle pagine”.