Ottavia Piccolo e quel dialogo con Eichmann, per comprendere dove inizia la notte dell'umanità
Parla l'attrice in scena con Paolo Pierobon, da oggi a domenica al Sociale di Trento, nel nuovo atto unico scritto da Stefano Massini. "Le domande che io come personaggio mi faccio e faccio ad Eichmann sono quelle che si fanno gli uomini di buona volontà: "Perché?", “Da dove comincia il male?”
TRENTO. È la banalità del male a segnare "Eichmann. Dove inizia la notte" il nuovo atto unico di Stefano Massini, che ha debuttato a Milano in febbraio, in scena la settimana prossima, da oggi, giovedì 31 marzo a domenica 3 aprile, al Teatro Sociale.
Protagonisti due fuoriclasse del teatro italiano come Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon che materializzano un dialogo immaginario tra Hannah Arendt e Adolf Eichmann che ripercorrono la tragedia dell’Olocausto. Diretti da Mauro Avogadro i due ricostruiscono passo dopo passo la carriera e ascesa del gerarca, delineando il ritratto di un uomo mediocre, arrivista e opportunista aprendo il varco a una prospettiva spiazzante: Eichmann non è un mostro, bensì un uomo spaventosamente normale capace di stupire più per la bassezza che per il genio. Ma è proprio qui, in fondo, che prende forma il male: nella più comune e insospettabile grettezza umana.
Ottavia Piccolo, come è stata coinvolta in questa produzione del Teatro Stabile di Bolzano e del Teatro Stabile Veneto?
“Collaboro con Stefano Massini da molti anni, gli ultimi spettacoli, non mi ricordo più nemmeno il numero, sono tutti legati ai suoi testi. Quindi Stefano che ormai è un amico, quasi un figlio per me, mi ha mandato questo testo un anno e mezzo fa e io ho risposto subito “facciamolo”. Lui l’aveva anche mandato a Walter Zambaldi che tramite lo Stabile di Bolzano, di cui è direttore, ha deciso di produrlo e io ero ovviamente della partita, facevo parte del pacchetto L’anno scorso eravamo pronti per andare in scena, abbiamo debuttato praticamente a teatro vuoto il 14 gennaio e poi tutti a casa per la pandemia".
Quindi lo avete dovuto tenere un anno in frigorifero.
"Sì, ne parlavamo proprio in questi giorni con Paolo Pierobon e in effetti il fatto che ci abbiamo pensato ancora per diversi mesi in qualche modo o secondo noi lo ha fatto maturare. Quest’anno abbiamo avuto la bruttissima sorpresa di legare il nostro debutto al giorno in cui è iniziata la guerra. Ancora di più è diventato un testo attuale, su quello che ci sta succedendo intorno perché d’accordo che parla di Eichmann e di cose che sono passate ma devono restare sempre nella nostra memoria. Le domande che io come personaggio mi faccio e faccio ad Eichmann sono quelle che si fanno gli uomini di buona volontà: "Perché?", “Da dove comincia il male?” “Quali sono i passaggi che noi esseri umani non capiamo ma che sono in ognuno di noi?".
Quindi si tratta di un testo che si lega anche al presente?
"Proprio il fatto di farsi queste domande credo sia l’attualità del testo. Non raccontiamo la vita e le opere di Hannah Arendt e tantomeno quelle di Eichmann ma in scena siamo due pensieri che si scontrano: quello di Eichmann che è un mondo a parte ma che è anche il mondo di tutti noi. La cosa tremenda del personaggio per come lo ha scritto Massini e per come lo fa Pierobon è che molti ci domandiamo: “Ma forse io avrei fatto lo stesso?”, “Forse anch’io ho le stesse pulsioni come ad esempio la carriera, il successo che sono cose fondamentali di fronte alle quali mi copro orecchie e occhi e tiro dritto?. Molte persone mi sono venute a dire che è impressionante come ci si riveda nel personaggio di Eichmann. La potenza dello spettacolo è questa: non ti permette di astrarti, devi seguire il racconto di queste due entità e farti coinvolgere dalle domande che si fanno".
Qual è la forza del suo personaggio la filosofa ebrea Hannah Arendt?
"Lei era veramente una testa meravigliosa e abbiamo ricevuto un grande insegnamento dai suoi libri che ho cercato di leggere e di capire anche se non è facile perché sono di altissima qualità. Ho tentato di renderla il più possibile vicina a noi ma questo dipende anche dal testo di Massini che non ha voluto fare uno studio sulla filosofa ma semplicemente metterla in rapporto a questo incontro immaginario fra lei e l’architetto della soluzione finale. In scena ho un costume vagamente anni sessanta ma niente che ricordi Hannah Arendt in maniera particolare. L’unica cosa che avrebbe potuto connotarla in modo preciso era che lei fumava come una turca e davvero (sorride Ottavia Piccolo n.d.r.) sarebbe piaciuto anche a me che ogni tanto fumo anche se non dovrei e invece non l’abbiamo fatto".
In lei e Pierobon quindi c’è quasi un certo distacco dai vostri personaggi.
"Direi di sì. Abbiamo mantenuto un certo distacco, la regia di Mauro Avogadro ha proprio la caratteristica di aver collocato la vicenda in un luogo della mente, astratto dove questi due personaggi si parlano o meglio ognuno parla per conto suo perché non si incontreranno mai veramente, sono due mondi che non si potranno mai comprendere tra loro".
Oltre sessant’anni di teatro: cosa l’emoziona maggiormente nel salire sul palcoscenico e nel contatto con il pubblico?
"La molla è sempre la stessa: mi piace raccontare storie. Io non le so scrivere, le scrive Massini e sono più contenta perché le tratteggia molto bene. Mi piace sentire che mentre racconto storie, da sola o con altri attori, il pubblico ci segue e condivide le cose che scelgo ed è davvero una bella soddisfazione. Dopo l’interruzione per la pandemia sono tornata in scena anche con un altro spettacolo di Massini, “ Cosa nostra spiegata ai bambini”, che non è un testo per bambini ovviamente, ma è la storia di Elda Pucci, la prima sindaca donna di Palermo. Tornare e rivedere il pubblico è stata un’emozione davvero grande. Avevamo finito a gennaio 2021 con la sensazione di poter andare in scena con lo spettacolo su Eichmann e invece siamo rimasti frustrati e ri-debuttare con Eichmann al Piccolo è stato come ritrovare la mia casa".