Il doppiatore roveretano Gabriele Pellicanò: «Sono la voce del cattivo di Batman»
Dopo molte apparizioni nelle edizioni italiane di film, cartoon e serie di primo piano, ecco per il 32enne il ruolo di Harvey Dent in «Joker: Folie à deux». Tutto cominciò per passione fin dall'adolescenza: A 16 anni ridoppiavo alcuni video in chiave ironica...». Poi molte tappe di formazione, prima locali e poi nazionali, fino alla grande ribalta cinematografica
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ROVERETO. Sequel del famosissimo “Joker” di Todd Phillips, il film “Joker: Folie à deux” è la sorpresa cinematografica dell’autunno italiano. Una storia sulla ricerca della propria identità, confinata nel rifiuto sociale e preda dell’opinione pubblica forgiata dai media, che vede ancora una volta Joaquin Phoenix vestire i panni del protagonista Arthur Fleck e del suo alter ego Joker, affiancato da Lady Gaga nelle vesti di Harleen Lee Quinzel (Harley Quinn).
Di questa tragedia meta-narrativa, mascherata da musical-commedia, si è detto e si dirà tanto. Molti non sanno però è che una delle voci italiane nasce a Rovereto: a doppiare Harry Lawtey, che interpreta il procuratore Harvey Dent, è Gabriele Pellicanò, attore e doppiatore roveretano di 32 anni (a destra, qui nella foto, accanto ad Aras Senol, star della serie “Terra Amara”).
Dopo le superiori all’Iti Marconi, ha conseguito la laurea triennale in scienze giuridiche della sicurezza all’università di Roma Tor Vergata e la magistrale in psicologica clinica e della riabilitazione all’Università Niccolò Cusano.
Accanto allo studio, ha dato seguito all’interesse per il doppiaggio e lo ha perfezionato alla Scuola di Doppiaggio Voice Art Dubbing. Vincitore del contest “Il DoppiAttore” al Teatro Rainerum di Bolzano nel 2021, ha doppiato 9 personaggi di cartoni animati; 2 di film d’animazione, ossia Spider Iron in “Spider-Man: Across the Spider-Verse” e Mr. Horaki in “Evangelion 3.0+1.0 Thrice Upon a Time”; 6 di docu-reality; Aras Şenol (Çetin Ciğerci) nella soap “Terra amara”; 38 attori di telefilm, da Adam Plant (Danny) e Al Vincente (Buddy) ne “L’estate nei tuoi occhi”, da Gavin Conner (Noah Rhinehart) in “American Horror Stories” a Kylan Ming (Gary) in “The Good Doctor”, da Freddie Dennis (Reynolds) ne “La regina Carlotta. Una storia di Bridgerton” a Tom Moutchi (Errol Mathis) in “Criminal Record”.
Degli 11 attori doppiati in film, dopo Joyner Lucas (Gang A Leader) in “Bad Boys: Ride or Die” è giunto il salto con “Folie à Deux”.
Gabriele, cosa l’ha spinta verso l’arte del doppiaggio?
«La passione. A 16 anni ho cominciato a ridoppiare alcuni video in chiave ironica. Mi incuriosiva e stimolava, ma avevo intuito che farne un lavoro avrebbe richiesto più competenze. Ho studiato dizione da autodidatta, iniziando a frequentare una radio locale. Benché diversa dal doppiaggio, mi ha permesso di “sciogliermi” imparando un metodo comunicativo.
Così ho preso parte a un corso di recitazione: sono stato notato e inserito in una compagnia teatrale locale. Sono andato in scena per un po’ ma desideravo realizzarmi nel doppiaggio. La vita mi ha portato a prendere strade alternative fino al 2020, quando ho scelto di seguire quel sogno che avevo tentato di lasciare alle spalle.
Mi sono iscritto a un corso di doppiaggio, comprensivo di recitazione e tecnica vocale. Dopo un anno ho fatto il mio primo turno di doppiaggio per piccoli ruoli in un documentario sul calcio. Mi sono sentito nel posto giusto, anche se ascoltare le voci degli attori hollywoodiani nei corridoi mi pareva surreale. Sono stato più presente a Roma e mi sono fatto conoscere nelle masterclass».
Cosa la affascina della professione?
«Il buio della sala, dentro la quale si realizza un gioco di prestigio: far parlare in italiano un attore straniero. Basti pensare alle frasi iconiche che ricordiamo e citiamo, grazie alle quali lo spettatore ricorda sì il volto dell’attore, ma la voce del doppiatore. È una sfida, congiungere l’interpretazione vocale a un viso che non è il mio, recitando con tempi e fiati non miei».
La prima importante opportunità?
«È stata “Terra Amara”, la soap in onda su Canale 5. Per quattro stagioni ho dato voce a Çetin, interpretato da Aras Şenol. È stata una palestra incredibile e un’esperienza che porterò nel cuore: ho incontrato Aras, ora siamo amici. È un ragazzo dal cuore d’oro, gli auguro il meglio».
Quali caratteristiche deve avere un buon doppiatore?
«Essendo un attore specializzato nel doppiaggio, deve mettersi al servizio del personaggio e lasciare trasparire le intenzioni espresse dagli occhi dell’attore. Il doppiatore non inventa, ma ripropone».
Sono necessarie le lingue originali?
«Ci sono due scuole di pensiero: chi reputa “sacro” l’audio originale, chi crede nelle migliorie date dal doppiaggio. Sono convinto che la verità stia nel mezzo. È difficile farne una regola, troppe le variabili in gioco: i suoni della lingua originale, la bravura degli attori, fiati non registrati ma visibili in video».
Come si svolge una giornata tipo?
«Il doppiatore è un lavoratore autonomo che lavora su turni da tre ore. Più il ruolo è di rilievo, più tempo occorre per realizzarlo. Quando si entra in sala il direttore del doppiaggio fornisce una breve spiegazione del personaggio e della trama. Osservata la scena si cerca di cogliere più dettagli possibili. Si prova e infine si incide».
Vi sono differenze tra film e serie Tv?
«Sì, nel peso e nel tempo di lavorazione. Il film esige un’attenzione e una cura superiore, aspetto che determina maggiore qualità. In termini di tempistiche, i cartoni sono considerati poco al di sotto delle serie tv. Con i film d’animazione si pretende invece lo stesso riguardo rivolto a un film».
Quale attore ha preferito doppiare?
«Harvey Dent in “Joker: Folie à Deux”, un personaggio rappresentato nei fumetti come uno dei nemici più famosi e duraturi di Batman. Chi non ha mai letto o guardato Batman? “Joker: Folie à Deux” ha un titolo importante e tratti particolari. È stata un’incredibile opportunità professionale. Sono molto soddisfatto, merito di un fantastico team. Ringrazio il direttore del doppiaggio, mi ha sostenuto a dare il massimo».
Cosa suggerisce ai giovani che aspirano al medesimo cammino?
«Non nascondo sia in salita. Purtroppo, vi è ancora chiusura verso il mestiere. Alcuni anni fa gli aspiranti doppiatori potevano assistere ai turni dei professionisti ed essere ascoltati. Oggi non è più possibile, per soddisfare i clienti si riduce il rischio di fuga di notizie durante la lavorazione.
Basti pensare che si è chiamati a firmare un accordo di non divulgazione prima di accedere allo stabilimento. Questo limita la possibilità di ottenere un provino.
C’è da dire che gli aspiranti sono aumentati vertiginosamente e i direttori del doppiaggio sono assaliti da chi è ancora acerbo. Il primo passo è farsi conoscere, mi rendo conto che per un ragazzo trentino non sia facile. Roma non è in Australia, ma nemmeno dietro l’angolo. Consiglio di formarsi a livello attoriale e specializzarsi nel doppiaggio. Essere autocritici e capire quando si è davvero pronti è fondamentale».
Ha già un nuovo ruolo?
«Non possono anticipare nulla, chi è interessato però può seguirmi sui social».