Generare parità: riflessioni ed esperienze su educazione e genere
Intervista con la professoressa Barbara Poggio dell'Università di Trento, autrice con la dottoranda in sociologia Gaia Celebrin di un libro che esplora la questione a partire dalla drammatica emergenza delle donne aggredite e dei femminicidi. "Qui in Trentino avevamo avviato un progetto nelle scuole per prevenire la violenza di genere, e abbattere gli stereotipi, ma con l'arrivo della nuova giunta è stato cancellato. Siamo stati un punto di riferimento a livello nazionale, adesso è sparito tutto"
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TRENTO - Alba Chiara Baroni, uccisa dal compagno che stava per lasciare nel 2017 a Tenno, in Trentino. Giulia Cecchettin anche lei vittima di femminicidio, l'anno scorso a Fossò, in Veneto. È a loro e a tante altre “giovani che sognano la parità” che Barbara Poggio (foto) e Gaia Celebrin dedicano il loro nuovo libro: Generare parità, riflessioni ed esperienze su educazione e genere (edizioni ViTrenD).
Il volume spiega cos'è l'educazione alla parità di genere trattando nello specifico ciò che accadde in Trentino nel 2019, quando la giunta provinciale Fugatti decise di cancellare molti percorsi scolastici creati apposta per prevenire la violenza di genere, come ci racconta Poggio.
Barbara Poggio è professoressa ordinaria di Sociologia del Lavoro e dell’Organizzazione presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, dove ha contribuito a fondare il Centro Studi Interdisciplinari di Genere. Gaia Celebrin è dottoranda in Sociology and Methodology of Social Research presso le Università degli Studi di Milano e di Torino.
Poggio ci racconta come è nata l'idea di questo libro che si avvale dei contributi della scrittrice Maria Pia Veladiano, che ai tempi della sperimentazione dirigeva una scuola trentina e aveva partecipato al progetto, e di Massimo Baroni, il papà di Alba Chiara.
Professoressa Poggio, cosa significa parità?
Parità è una parola molto ampia con un significato speciale. Vuol dire poter avere le stesse opportunità di tutti a prescindere chi tu sia. Racchiude diversi ambiti e racconta le varie disuguaglianze nella società. È un termine trasversale che si può applicare ad ogni aspetto della vita, dalla famiglia al lavoro allo sport.
È per questo che avete scelto questa parola come titolo?
Sì. Ci siamo basate soprattutto su un nostro progetto che qualche anno fa avevamo proposto e poi portato nelle scuole, e che qui nel libro analizziamo e raccontiamo.
Che progetto era?
Si chiamava Educare alla relazione di genere. Era un progetto costruito e realizzato grazie all'Università di Trento, agli assessorati alle pari opportunità, alla commissione pari opportunità della Provincia di Trento, e all'IPRASE. Aveva come obiettivo quello di lavorare assieme alle scuole per prevenire la violenza di genere, e abbattere gli stereotipi aiutando, per esempio, quelle ragazze che volevano iscriversi alle università scientifiche.
Erano interessate tante scuole?
Davvero tante, soprattutto dopo gli esiti positivi della sperimentazione durata qualche anno. Le scuole potevano scegliere quali moduli proposti nel progetto seguire, molti erano destinati agli studenti ma c'erano anche moduli per genitori e insegnanti.
E cos'è successo?
Che con l'arrivo della nuova giunta ci hanno cancellato il progetto. Il che ancora adesso sembra irreale, cioè a livello nazionale siamo stati un punto di riferimento per tutte le scuole d'Italia, e adesso è sparito tutto.
Vi hanno spiegato il perché?
Non molto. Cioè le ragioni erano alquanto bizzarre e molto infondate. Una gran parte del libro ripercorre tutte le dichiarazioni avute ricevute. Prima ci hanno detto che i corsi venivano sospesi per verificare che i valori fossero congrui con quelli del governo, però poi non c'è mai arrivata nessuna analisi al riguardo. Quando abbiamo chiesto spiegazioni ci hanno citato libri che secondo loro gli alunni avrebbero letto, ma che noi non avevamo assolutamente inserito nei programmi. Poi siamo stati accusati di voler insegnare ai giovani a cambiare sesso o a darsi alla prostituzione, che non solo è assurdo per noi, ma vuol anche dire che la Provincia non ha la minima fiducia nelle scuole trentine. Come si può pensare che un insegnante voglia anche solo insegnare qualcosa del genere? L'unico nostro errore è che forse potevamo prevederne la cancellazione.
Come?
Beh prima di insediarsi, questo governo regionale aveva già provato a intervenire con una serie di preoccupazioni al riguardo. E non solo, anche qualche piccolo gruppo religioso aveva sollevato delle proteste sostenendo che il tema della violenza sulle donne andasse affrontato solo in famiglia. Il che non è per niente corretto visto che molte violenze sono proprio domestiche.
Avete provato a confrontarvi con la giunta?
Sì, ci siamo messi a disposizione per ogni chiarimento. Ci siamo offerti di confrontarci con loro per trovare una soluzione che piacesse a tutti, ma nessuno ha mai voluto parlarci. In compenso, ci hanno promesso più volte che avrebbero fatto altre proposte, ma fino ad oggi si è visto poco o niente.
Niente di niente?
Per ora ci sono state tante promesse e nessuna azione. Abbiamo persino organizzato una raccolta firme di uomini e donne che vogliono che la situazione cambi e che si insegni la prevenzione nelle scuole. Sono quasi certa che quelle firme siano arrivate fino all'assessora e vicepresidente Gerosa. Continuiamo a sperare che prima o poi qualcosa si faccia, e non solo dica a parole.
È per questo che avete scritto il libro, per denuncia?
In parte sì, ma il libro nasce da un dispiacere personale. Ci tenevamo tanto al nostro progetto e qui abbiamo voluto spiegarlo così che tutti lo potessero leggere. È per ricordare che è dagli stereotipi che parte la violenza.
Gli stereotipi di genere esistono ancora?
Sono radicati dentro la nostra cultura più di quello che si possa pensare. Ogni volta che accade un femminicidio è perché un uomo non ha voluto lasciare libertà ad una donna. Oppure basti pensare alle iscrizioni alle facoltà scientifiche che ancora oggi sono a maggioranza maschile perché molte donne continuano a pensare di non essere abbastanza in gamba per entrare in quel mondo.
Come possiamo cambiarli?
Dobbiamo far attivare un grande impegno da parte di tutti, dalla famiglia alla scuola ad ogni attività, anche sportiva. Serve l'appoggio dei politici e dei media e i servizi di informazione.
Sottolineiamo anche da parte della politica.
Bisogna stabilire più progetti di inclusione e prevenzione nelle scuole per accompagnare la crescita dei ragazzi e delle ragazze. Non si può continuare ad ogni nuovo femminicidio a dire che bisogna educare se poi non lo si fa. Il non fare niente è una responsabilità politica.