Matteo Santorum nella serie "Libera": «Ecco come interpreto il giovane Elia»
L'attore ventiquattrenne di Arco racconta l'esperienza nella fiction di Raiuno che sta ottenendo ottimi riscontri d'ascolto. «Il mio personaggio è un adolescente, vive la quotidianità con meno strutture rispetto a quelle che la vita e la società hanno catapultato su di me. Mi rivedo nella sua estrema dolcezza e sensibilità»
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TRENTO - Ha debuttato martedì scorso e vinto a mani basse la sfida d'ascolti contro il "Grande Fratello": "Libera", la nuova serie televisiva di casa Raiuno, con 3.409.000 telespettatori (18.8% di share), mostra al pubblico anche il talento di Matteo Santorum, 24enne di Arco.
Di pari passo al collega Luka Zunic di Riva, anche Santorum ha fatto tesoro di ogni esperienza senza mai dimenticare il luogo che ha visto in lui germogliare le prime aspirazioni. «La persona che stai per diventare sarà grata di sapere che, oggi, non ti sei abbattuto», raccontava il giovane arcense nel febbraio 2022 ai lettori de l'Adige, ripercorrendo le emozioni vissute sul set della storica soap «Un posto al sole» nei panni di Jacopo Leone.
Tra un esame universitario e una raccolta di poesie, Santorum ha continuato a coltivare bellezza: con essa, che è parte del suo essere, ha dato vita ad Elia, personaggio che interpreta nella fiction con protagonista la magistrata Libera Orlando (Lunetta Savino).
Un cast popolato dagli attori Matteo Martari, Gioele Dix, Roberto Citran, Claudio Bigagli, Monica Dugo e Daisy Pieropan, capaci di tessere in otto puntate una trama fitta e ricca di tematiche, nel dualismo giuridico e morale che si snoda tra vittime e colpevoli.
Matteo, quando è iniziata questa avventura?
«Un giorno d’agosto. Siamo nel 2023, ho appena messo piede ad Arco. Ho il cellulare scarico. Oltrepasso l’uscio e si riaccende con il messaggio: “Matte, sei stato preso!”. Nel ricevere una simile conferma, sapendo di lavorare con il regista Gianluca Mazzella, mi è parso di poter volare. È stato un onore recitare accanto ad attori cui aspiro. Le riprese, iniziate a settembre 2023, sono finite in gennaio».
Cos'hai provato interpretando Elia?
«L'ho preparato con Giorgia Sinicorni. Elia è un personaggio che sprona al romanticismo, inteso come la capacità di amare l'altro, di accogliersi e vedersi reciprocamente. È un adolescente; vive la quotidianità con meno strutture rispetto a quelle che la vita e la società hanno catapultato su di me. Mi rivedo nella sua estrema dolcezza e sensibilità. D'altronde, senza barba sembro un liceale! Sono solito vivere alcune sensazioni in maniera adolescenziale, in una sorta di "Sturm und Drang" emotivo».
Ti ha intimorito il dialetto triestino?
«No, studiando Lettere all’università ho affrontato un esame di dialettologia. Parlarlo, però, è diverso: sul set è stata fondamentale la presenza della dialogue coach (docente di dizione, ndr). Non è facile dare una contestualizzazione spaziale comprensibile, giovane, fresca senza incartarsi. Soprattutto, in scene corpose.
È decisivo rimanere focalizzati su ciò che si sta facendo: l’errore più grande è spostare l’attenzione su di sé, rispetto alla scena. Mi sono detto: “Ti sei preparato bene, abbi fiducia”. Trovo il dialetto una forma identitaria che debba essere tramandata e diffusa, anche in tv. È un bene culturale che non dovremmo perdere. Tra i giovani sta tornando ad essere un elemento di aggregazione».
Ti senti connesso agli adolescenti?
«Leggendo recensioni e commenti, ho notato che molti ragazzi si sono rivisti in Elia. Un bravo attore mira a portare uno spiraglio di luce nello spaccato della società, facendosi chiave con cui aprire una ricchezza comune. Coltivare questa sensibilità è tanto importante per me.
Mostrare sullo schermo persone vere, fragili e umane, può salvarci dalle imposizioni sociali e riportarci ad amare con purezza, senza omologazioni. Seguo molto la tecnica di Sanford Meisner, docente ed attore del Novecento, secondo cui la recitazione è la capacità di comportarsi e vivere in modo sincero ed onesto in circostanze immaginarie».
Per questo hai scelto di proseguire gli studi.
«Esatto, un esame e sarò laureato. La laurea non è il mio “piano B”: voglio fare cinema nella vita e raccontare grazie alla recitazione tante verità, con gli strumenti che ho. Lo studio accresce la cultura di un attore: se assetato di sapere, può andare in mezzo alla strada e dialogare con tutti senza sentirsi superiore. Mosso dal desiderio di scoprire ed arricchire il suo tesoro interiore, lascia germogliare spunti e riflessioni dà donare agli altri».