Unicredit, 18.200 «esuberi» In Italia via 6.900 posti
Pesante taglio di Unicredit sui costi. Il gruppo nel nuovo piano al 2018 mette in cantiere 18.200 tagli di personale (6.900 in Italia) e risparmi per 1,6 miliardi. Allo stesso tempo si pone un obiettivo di 5,3 miliardi di utile (nelle precedenti linee strategiche era di 6,6 miliardi).
Nel frattempo l’istituto archivia i 9 mesi 2015 con un utile in calo (-16,1%) a oltre 1,5 miliardi (507 milioni nel terzo trimestre e sopra il consensus).
Sui conti pesano 400 milioni di svalutazione della controllata in Ucraina e la conversione in euro dei mutui in franchi svizzeri in Croazia.
Tornando al piano la «cura dimagrante» passa attraverso la cessione o la ristrutturazione, entro il 2016, delle attività retail in Austria e del leasing in Italia.
Prevista anche la chiusura di 800 filiali in Italia, Germania e Austria mentre al quartier generale di Milano passerà il controllo delle attività in Est Europa.
Nel 2018 la forza lavoro ammonterà a 111 mila posti a tempo pieno. Quanto ai 18.200 tagli questi includono 6.000 posizioni che derivano dalla prevista cessione della controllata in Ucraina (4.000 posizioni) e dal deconsolidamento di Pioneer (2.000 posizioni), destinata al matrimonio con l’asset management di Santander (è stato siglato l’accordo quadro vincolante e il completamento dell’operazione è previsto nel 2016).
In Germania sono circa 2.300 le posizioni che verranno tagliate mentre in Austria saranno 2.050. Circa 1.100 invece riguardano le divisioni Cee, l’Asset management e l’Asset Gathering.
In Italia nel vecchio piano Unicredit concordò 5.100 uscite di cui per 2.400 gli accordi sono stati già definiti. Ne restano 2.700 a cui si aggiungono 540 posizioni (per lo più dirigenti) del nuovo piano. Per raggiungere la cifra di 6.900 bisogna includere oltre 700 dipendenti di Uccmb (che è stata ceduta alla cordata Fortress-Prelios), 200-300 italiani che operano all’estero in società tipo Ubis, il restante è un piccolo gruppo di mancato turn-over.
Linee che non piacciono ai sindacati con Mauro Morelli, segretario nazionale della Fabi che ricorda che il gruppo «dal 2007 ad oggi solo in Italia ha tagliato 30 mila posti di lavoro». Ghizzoni invita i sindacati a non mettere «la testa sotto la sabbia» e si dici convinto che un accordo si troverà.
«Abbiamo approvato un piano rigoroso e serio e al tempo stesso ambizioso», sottolinea peraltro l’ad aggiungendo che «è soprattutto realistico» ed «è totalmente autofinanziato». Tanto che in conferenza stampa l’ad puntualizza che che un aumento di capitale «non solo» è da escludere ma «sarebbe assurdo chiedere soldi» con un Cet1 ratio fully loaded, prima della distribuzione dei dividendi, che si attesterà a 12,6% nel 2018, superiore all’obiettivo interno di 11,5%.
Con questa solida base di capitale la banca può potenzialmente pagare 4,8 miliardi di dividendi cash che corrispondono ad un payout medio del 40%. Se si considera lo script dividend si potrà arrivare a 9 miliardi.
Ghizzoni esclude poi la cessione di Fineco (sia «come quota di minoranza» sia «come azienda») e un interesse ad aggregazioni in Italia. Quanto alla joint venture sui crediti immobiliari con cui si sta lavorando in esclusiva con Pimco l’a.d specifica che «non è una cessione di asset» ma «l’obiettivo è identificare un portafoglio da gestire insieme ad un operatore professionale».