Giovani disoccupati «pigri»? Sindacati: battute da bar sport
Giovani disoccupati perché «bamboccioni»? Difficoltà per le aziende di reperire manodopera specializzata? Sistema trentino di aiuti a imprese e occupazione più orientato alla beneficenza che al sostegno duraturo? Se la crisi sia finita oppure sia solo in pausa poco importa: il dibattito sul mondo del lavoro è aperto.
Il merito di aver alzato la palla, stavolta, arriva dall'industria. Prima il dirigente della Mariani che si lamenta della difficoltà di reperire personale perché molti, pur disoccupati, non accettano di lavorare il sabato, ancorché una tantum; poi il direttore di Confindustria Busato che conferma una tendenza dei giovani ad evitare impieghi che non siano sotto casa.
Molta carne al fuoco, insomma, che ha acceso i riflettori sulle prospettive occupazionali del Trentino che cerca di uscire dalle secche e sulle relazioni tra scuola e impresa, tra formazione e mondo reale.
I sindacati replicano alle accuse ma, per certi versi, concordano con alcune dichiarazioni degli industriali pur invitando a non generalizzare.
L'invito arriva soprattutto da Franco Ianeselli, segretario generale della Cgil. «Alle volte se vogliamo essere una comunità seria dobbiamo sapere che alcune questioni sono complesse e saperlo ci porta a dare risposte da bar sport ma dobbiamo affrontare le complessità. Non si può ridurre tutto a "non hanno voglia di lavorare". Se ci fosse maggiore analisi del fabbisogno delle imprese si arriverebbe a portare le persone a formarsi».
Per Ianeselli ci sono «due fenomeni che sembrano contraddittori ma esistono: è vero, c'è una parte di bamboccioni ma ci sono anche tanti ragazzi che sono andati in giro per l'Europa perché sanno che il mercato del lavoro è europeo. Non tutti rimangono a casa con la mamma. In una parte di questa generazione c'è un atteggiamento pigro ma altri vanno all'estero perché qui non trovano. Se avessero offerto un tirocinio a molti ragazzi questi sarebbero rimasti in Trentino. Perché c'è un problema di transizione scuola-lavoro con tirocini e percorsi formativi ma dall'altro il sistema delle imprese deve capire che se non offri buone condizioni uno non accetta, va all'estero. Non abbiamo un'imprenditoria innovativa che trattenga i giovani qui».
Laureati o tecnici? «Se le nostre imprese chiedono pochi laureati è un problema. Siamo in un mercato del lavoro europeo e non si può tarare il mestiere sul livello medio- basso, meglio fare studi di eccellenza e poi arriveranno le imprese».
Manuela Terragnolo, segretaria della Fiom, si dice invece «sorpresa. Abbiamo tante aziende che lavorano sui tre turni e può capitare di lavorare il sabato. Forse nel bacino di Rovereto servirebbe un intervento forte di Agenzia del Lavoro per contattare le persone, valutarne il profilo e fare formazione. Servono politiche attive in tal senso e allora forse si troverebbero anche le professionalità richieste dal mercato».
Paolo Cagol della Fim Cisl entra nel vivo: «Disoccupati bamboccioni? Comoda generalizzazione, le sfide dell'industria sono altre. Sento doverosa una replica a commenti che, se generalizzati, rischiano di riportare un quadro semplicistico, fuorviante e offensivo nei confronti di una forza lavoro che in questi anni ha sofferto assieme (non alle spalle) delle imprese trentine».
C'è poi la questione domanda-offerta. «Può esistere una difficoltà di incontro ma non dimentichiamo che alcune delle professionalità ricercate sono di alta specializzazione, preziose in un mercato che ha generato flussi crescenti di disoccupati, ma soprattutto per profili di scarsa professionalità e di difficile ricollocazione. Le disponibilità per alcuni profili possono quindi non essere molte o avere migliori occasioni. In un regime di libero mercato, d'altronde, le dinamiche di domanda e offerta non possono essere invocate solo quando fa comodo».
Anche Cagol condivide alcune considerazioni critiche tanto di Busato che del presidente degli artigiani Roberto De Laurentis. «Hanno ragione quando ricordano che serve efficienza nei sistemi di ricollocamento e maggiori sinergie tra istruzione e lavoro. In un mercato più flessibile tanto voluto dagli imprenditori, però, dobbiamo investire non tagliare sulle politiche del lavoro. Serve un efficace sistema di condizionalità ed una stretta integrazione tra politiche attive e passive di qualità per chi perde il lavoro».