La salute, lo Stato e l'universalismo dei servizi: parla Marco Faillo
Il servizio sanitario nazionale è il baluardo dell’universalismo nel welfare italiano.
Ma che cosa vuol dire universalismo in pratica? E quali le alternative? Come può lo Stato offrire una ampia gamma di servizi per rispondere ad una pluralità di bisogni che va al di là dei benefici monetari di sostegno al reddito quando si è malati? Ne ha parlato Gilberto Turati, che insegna all’Università Sacro Cuore di Roma, introdotto da Marco Faillo , docente all’Università di Trento.
"Universalismo - ha detto nel suo intervento introduttivo Failo - è un principio ispiratore dell'organizzazione dei servizi sanitari dei paesi. Garantire i servizi di base è uno dei criteri ma ci sono varie differenze per le quali viene implementato a livello internazionale: il dato più interesante è l'Italia, che si colloca nella classifica più alta 12° su 195 dei paesi osservati. Un Paese come il nostro presenta forti disomogeneità geografiche e tra le fasce della popolazione. Un recente rapporto sanitario dice che l'universalismo è diseguale e il modello originario è obsoleto o è dovuto alla riduzione costante del budget finanziario evoluto ai sevizi sanitari? "
Ha preso poi la parola Turati dell'Università Sacro Cuore di Roma. "Voglio analizzare il termine 'universalismo' e rileggere il nostro servizio sanitario nazionale. Universale significa: impostazione dei sistemi di welfare che erogano prestazioni indipendentemente dal bisogno, tutti possono accedere a un servizio 'diritto di cittadinanza' garantito a livello costituzionale. All'opposto c'è la selettività che è il meccanismo opposto all'universalismo. La condizione cruciale è il reddito: se è sotto la soglia la persona ha diritto ad accedere alla prestazione e viceversa.
È una combinazione di reddito e ricchezza. Se sei in disagio economico, lo stato supplisce. Una terza opzione è la categorialità o corporativismo: la condizione non è più legata al reddito ma alla appartenenza ad una categoria: lavoratori pubblici, privati, disabili, pensionati. Il nostro è largamente corporativo. È un modello imperfetto attraverso il quale vi è la selettività. Ad esempio le famiglie con tanti figli hanno agevolazioni ma non è detto che siano in difficoltà economica.
Ci sono 3 modelli di welfare: 1) social democratico: è l'esempio tipico dell'universalismo, accesso ai servizi è un diritto di cittadinanza e si trova nei paesi nordici. Ruolo preminente della forza pubblica, è un sistema molto costoso e la spesa sul pil è elevata e il finanziamento è attraverso imposte generali; 2) liberista tipico degli Usa, è selettivo: si tutelano pochi rischi, c'è un ampio utilizzo dei controllo dei mezzi, modello che costa poco per lo Stato; 3) corporativo: è categoriale, si tutela non il cittadino ma il lavoratore, si finanzia con contributi sociali, si colloca in mezzo tra i due precedenti. Qualche dato: gli Usa hanno 19 punti percentuali sul Pil , Europa in media 25, Italia 28 punti percentuali. Perchè abbiamo due mondi che dividono l'Europa dagli Stati uniti? Ci sono motivazioni storico-politiche, ma anche culturali e di pensiero. Due principi condizionano l'impostazione di un sistema sanitario: la sfortuna e l'impegno: per gli usa è l'impegno, per gli europei è la sfortuna: se il credo è il secondo, il cittadino vota uno stato assistenzialista e viceversa. Negli Usa, ad esempio, c'è un diverso approccio al filanropismo, che è quasi sempre privato, in Italia è anche pubblico.
Proviamo a disegnare i sistemi sanitari selettivo e universale: per quanto riguarda il primo abbiamo una assicurazione privata e sottoscrittori che pagano i premi e ricevono i rimborsi. L'universale tutti i cittadini sono tutelati. Come si declinano le relazioni all'interno di questi modelli? Ci sono diverse forme di contribuzione, casse malattia, esistono elementi di categorialità, obblighi diversi per lo stato centrale e/o regioni, fornitori pubblici o privati.
Nel 78 in Italia si introduce il sistema delle mutue per favorire l'equità, per superare gli squilibri sociali ed economici. Lo stato incassa e trasferisce alle regioni i fondi necessari, i produttori erano anche assicuratori. Osserviamo le diseguaglianze negli anni 80 considerando un indice quello dei parti cesarei: poche differenze tra Alto adige, Veneto e Campania. Nel 90 con il trattato di Maastricht, l'obiettivo è migliorare l'efficenza: da un lato nell'organizzazione dei mercati e nelle relazioni stato-regioni (le regioni erano in disavanzo e occorreva controllare la spesa). Nasce la riforma dei 'Quasi mercati' e si creano aziende sanitarie locali: si separa il produttore dall'assicuratore, si mette in piede un sistema acquirente-venditore, si introducono i tariffari nazionali e regionali. Da un lato la relazione stato-regione: nascono leggi nuove per ricomporre le entrate regionali e ridurre i trasferimenti statali. Si introduce l'imposta regionale e l'irpef.
Nel 2001 si introduce una nuova riforma costituzionale: si separa assicuratore (apss) dal produttore (azienda ospedaliera e privato), si introducono nuove imposte regionali e statali. Diseguaglianze a seguito di queste riforme: in Campania i cesarei esplodono (1 su 2); non tutte le regioni hanno separato produttori e assicuratori e non hanno applicato un tariffario regionale e c'è fatica a trovare un nuovo equilibrio sulle 'risorse proprie'. Rmane poca chiarezza se l''irap sia una imposta erariale regionale o statale. Nascono quindi nel 2002 i "Patti per la salute" per risolvere la carenza di leggi per ripartire i fondi tra le regioni. Lo stato inizia a limitare l'autonomia regionale con i "Piani di rientro". Negli anni 2000 arriva la crisi e scoppiano i casi i corruzione. Nel 2011 si introducono i costi e fabbisogni standard. Riguardo alle relazioni tra stato e regioni rimane ancora poca chiarezza sulla distribuzione delle imposte. I cesarei continuano ad esplodere in Campania. Nasce l'idea di recuperare risorse dall'efficentamento degli acquisti. La natura dell'universilità è messa in disucssione dall'accesso ai servizi. Oggi Gentiloni dice che non vogliamo rinunciare al sistema attuale universale, ma occorre manutenzione del mercato dei servizi. Concludo rilevando che vi sono due problemi: vogliamo ancora tenere le regioni al centro del sistema? Le regioni devono avere imposte regionali sì o no? Al momento si sviluppano mutue nei contratti di lavoro e il rischio è introdurre elementi di categorialità tra i lavoratori."