Il Trentino è a rischio povertà. Anzi no Guerra di cifre tra Roma e Trento
Il Trentino è a rischio povertà. Anzi no.
È una vera e propria guerra di cifre quella scoppiata tra Roma e Trento e combattuta, questa volta, a colpi di statistiche.
Da un lato la fotografia dell’Eurostat, che disegna un Trentino dal futuro cupo, che registrerebbe addirittura la peggior performance economica europea.
Dall’altra la replica piccata della Provincia che, sulla base dei dati Ispat, ribatte colpo su colpo smentendo le fosche previsioni dell’Istituto nazionale.
Vediamo.
EUROSTAT: IN TRENTINO UNO SU 4 A RISCHIO POVERTÀ
Secondo gli ultimi dati di Eurostat relativi al 2016, il 23,5% della popolazione (quindi oltre 100.000 persone) era in forte difficoltà economica. Un aumento del 10% rispetto al 2015 e una cifra che ci allontana ancor di più da Bolzano dove è scesa nello stesso anno sotto il 10%. Ma non basta: dal 2007 al 2016, secondo le elaborazioni di Eurostat stessa, il Trentino è la regione d’Europa con l’aumento percentuale maggiore per il rischio di povertà o di esclusione sociale: più 16% contro il 10,1% dell’Andalusia, seconda.
Impressiona il fatto che il tasso è più che triplicato in provincia dal 2007, ultimo anno prima della Grande crisi, e il 2016. La percentuale di persone in forti difficoltà economiche è salita dal 7,5 al 23,5% in nove anni. A rilanciare i dati, su twitter, è stato Lorenzo Ferrari, studioso trentino.
«Sulla percentuale incide una serie di fattori come la disoccupazione molto intensa nel 2016 - spiega Antonio Schizzerotto, sociologo dell’Irvapp - e una crescita assai contenuta del Pil per cui il livello di consumi è stato ridotto». Nello stesso periodo a Bolzano e provincia la situazione era contraria. La percentuale in Sudtirolo è scesa sia tra il 2007 e il 2016 sia tra il 2015 e il 2016: nel primo caso si è passati da un indice del 12,3% al 9,6%, mentre nel secondo caso dal 13,7 al 9,6%. «Non scopriamo certo oggi che Bolzano ha un sistema economico più efficiente del Trentino. C’è una incidenza di medie e grandi imprese maggiore che da noi, e con la crisi si è rivelato che piccolo è bello è una sciocchezza. Perché le piccole imprese fanno fatica a fare ricerca e, essendo familiari, sono restie a assumere nuovo personale oltre a quello della famiglia e a farlo con addetti di alto livello».
Per Schizzerotto servono «vere politiche industriali, con scelte di sostegno mirate per far crescere dimensionalmente le imprese e favorire quelle con maggiori prospettive. Nel Trentino non sono mancate tanto le politiche del lavoro, quanto le politiche industriali. È vero che si sono messe in campo agevolazioni fiscali, ma sono poco selettive». Un sistema di imprese più innovative e dimensionalmente maggiori potrebbe risolvere l’altro grosso problema che è quello della disoccupazione. «Se non c’è di domanda di lavoro da parte delle aziende puoi proporre anche un premio Nobel ma nessuno lo assume».
Ma cosa fotografa il dato Eurostat? Secondo la definizione dell’Ufficio statistico dell’Ue, nel 23,5% del 2016 ci sono persone a rischio di povertà o gravemente deprivate o che vivono in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa. A rischio di povertà si intendono le persone con un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio di povertà, che è fissata al 60% del reddito disponibile equivalente mediano nazionale (dopo i trasferimenti sociali).
La deprivazione materiale colpisce le persone che esperiscono almeno quattro situazioni sulle nove seguenti: non possono permettersi di pagare affitti o bollette o mantenere la casa adeguatamente calda o affrontare spese impreviste o mangiare carne, pesce o un equivalente di proteine due volte in settimana o una settimana di ferie lontano da casa, un’automobile, una lavatrice, un televisore a colori, o un telefono. Le persone che vivono in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa sono quelle di età compresa tra 0 e 59 anni che vivono in famiglie dove gli adulti (18-59 anni) lavorano meno del 20% del loro potenziale di lavoro.
LA REPLICA DELLA PROVINCIA
Reddito medio pro capite in Trentino? Cresciuto, da 20.922 euro nel 2015 a 21.255 nel 2016. Bassa qualità dell’abitazione? È calata, da 9,5 a 6,3, sempre nello stesso periodo di riferimento. Situazioni di grande difficoltà economica? Calate anch’esse, da 7,5 a 6,1.
Forse è cresciuto il tasso di mancata partecipazione al lavoro? No, anzi, è in lieve calo da un paio d’anni. Ma forse ci sono più lavori instabili, e quindi è aumentata nelle famiglie la sensazione di insicurezza? Nemmeno, le trasformazioni da lavori instabili a stabili sono in crescita, erano 15,4 nel 2015, sono 18,7 nel 2016.
Questi dati - chiarisce Piazza Dante - non sono di fonte provinciale, sono dati Istat/Eurostat. Difficile quindi capire come mai secondo lo stesso Istat il Rischio povertà e esclusione sociale in Trentino sia cresciuto da 15,8 nel 2015 a 23,5 nel 2016. «Se così fosse, infatti, questa crescita dovrebbe trovare riscontro in tutti gli altri indicatori, come appunto reddito, qualità dell’abitazione e così via. Cosa che non avviene. Senza contare che il Trentino è sempre stato sensibile al tema della lotta alle diseguaglianze sociali, prova ne è che lo stesso Assegno unico provinciale, il nuovo strumento di welfare operativo dal 1° gennaio, ha fra i suoi obiettivi proprio quello di prevenire il rischio povertà, e prevede non a caso coperture più ampie rispetto al Rei nazionale».
Non basta. La Provincia, attraverso l’Ispat-Istituto provinciale di statistica, ha provveduto a chiedere all’Istat le opportune delucidazioni, che sono arrivate a stretto giro di posta. La nota Istat spiega innanzitutto che su campioni ridotti piccole variazioni nella raccolta dei dati possono tradursi in modifiche percentuali significative che richiedono cautela nell’interpretazione. Entrando nel merito, l’Istat spiega che «in generale comunque, anche a livello nazionale si è registrato un miglioramento per taluni indicatori e un peggioramento per altri. In particolare, la crescita del reddito è stata accompagnata a un aumento della disuguaglianza, essendo stata più marcata tra le famiglie con i livelli reddituali medio alti».