Il Catullo batte cassa, Fugatti invece frena
A novembre i passeggeri registrati all’Aeroporto Catullo di Verona sono stati 179.000, in aumento del 18% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Da gennaio a novembre sono arrivati a 3.259.000, con un incremento dell’11% e un valore assoluto «superiore a quello dell’intero 2017», sottolinea il presidente Paolo Arena. La gestione del Catullo infatti chiuderà con 13 milioni di euro di utile. Ma non sarà questo il risultato finale della società aeroportuale partecipata dalla Provincia di Trento. Perché 7 milioni di risultato negativo di Brescia Montichiari, lo scalo per le merci che non decolla, e una decina di milioni di perdite su 30 milioni di vecchi contenziosi con l’Enav, la società che gestisce il traffico aereo, porteranno quest’anno Catullo spa in rosso di 4-5 milioni.
A questo va aggiunto il fabbisogno per gli investimenti, fra 30 e 40 milioni nell’ambito di un piano pluriennale di oltre 100 milioni, di cui 60 per la riqualificazione del terminal passeggeri. Insomma, tra copertura perdite e investimenti servono 50 milioni. Il Catullo batte cassa. Ma la giunta provinciale guidata da Maurizio Fugatti cambia rotta rispetto a quella precedente di Ugo Rossi e dell’assessore competente Mauro Gilmozzi, che aveva intenzione di investire ancora sullo scalo, ritenuto strategico per il Trentino, tanto da dare la disponibilità a sottoscrivere 5 milioni nell’ambito di un aumento di capitale che facesse fronte al fabbisogno (l’Adige del 19 ottobre). «Vogliamo capire se c’è un ritorno per il Trentino, se i turisti che sbarcano a Verona poi vengono da noi - afferma Fugatti - La partecipazione non è in discussione ma soldi al buio non ne diamo».
Trento ha il 30,27% della holding pubblica Aerogest, cioè il 15% circa del Catullo. In un recente incontro tra Provincia e vertici del Catullo, l’assessore Roberto Failoni ha raffreddato parecchio l’interesse «strategico» su Villafranca. «Sulla base dei dati dei nostri operatori - dice l’assessore - la maggior parte dei turisti che arriva in Trentino, soprattutto d’inverno, proviene da Bergamo Orio al Serio. Da Verona arrivano solo i due voli dalla Russia».
«Se lo dice Failoni che conosce il settore ci sarà un problema - sottolinea Fugatti - Noi riteniamo utile la partecipazione al Catullo, ma vorremmo che ci fosse un ritorno il più possibile chiaro per il territorio trentino. Disponibili quindi a ragionare su rapporti che devono continuare, ma non aderiamo al buio a eventuali aumenti di capitale».
E chi ci mette capitale avrà il controllo della società di trasporto aereo. La partita è tra gli enti pubblici, in particolare Trento e Verona che oggi attraverso Aerogest hanno la maggioranza relativa del Catullo col 47,02% delle azioni, e il partner privato, la Save di Enrico Marchi, che ha il 41,27% e non ha mai fatto mistero di voler crescere e integrare Verona nel polo aeroportuale del Nord Est con Venezia e Treviso.
Trento cambia rotta ma sono divisi anche i veronesi. Comune e Provincia, che insieme hanno il 30,69% di Aerogest, vogliono da tempo disimpegnarsi. La Camera di Commercio (39,05% di Aerogest) spinge invece per un maggior peso di Verona, in alternativa alla Save, attraverso Fondazione Cariverona, gigante da 1,8 miliardi di patrimonio nonché azionista di Unicredit e, tra l’altro, della stessa Enav, che ora ha il 2,86% del Catullo.
Ma le complicazioni non finiscono qui. Per far fronte al fabbisogno è stato ipotizzato un aumento di capitale del Catullo, 20-30 milioni, e per il resto di ricorrere al debito bancario. La spa dell’aeroporto però è una società mista pubblico-privata. Non è chiaro se sia sottoposta alla legge Madia, che vieta aumenti di capitale a società di diritto pubblico dopo anni di perdite di bilancio. Catullo è stata in rosso dal 2011 al 2014 ed è tornata a fare un po’ di utili solo da tre anni. Dopodomani, giovedì, c’è l’assemblea di Aerogest in cui, oltre al bilancio chiuso al 30 giugno e quindi immune dalle perdite di quest’anno, sul tappeto ci sarà il futuro della partecipazione pubblica allo scalo veronese.