Se Greta non va a scuola, che esempio dà?

Sento il desiderio di scriverle, in relazione alla lettera «Greta che non va a scuola e il ruolo delle donne» e alla sua risposta a tale lettera. C’è, in entrambe, un pensiero nascosto che mi turba. È l’idea che, per Greta Thunberg, quest’anno trascorso in giro per il mondo a cercare di far crescere l’attenzione per un tema così importante come il cambiamento climatico e la sua influenza sulle vite di noi tutti, anziché sui banchi di scuola, sia un anno sprecato dal punto di vista della sua formazione personale e della sua crescita intellettuale. Come se viaggiare, incontrare persone che provengono da tutto il mondo e da esperienze di vita molto diverse, formarsi e informarsi per sostenere incontri con persone di estrazione sociale varissima, sperimentare sulla propria pelle ciò che la scuola, nel migliore dei casi, ci fa conoscere attraverso i libri (dalla geografia alla storia contemporanea), non potesse costituire materiale di crescita. Come se, oltretutto, non considerassimo possibile che una persona, e una persona adolescente nel nostro caso, possa dedicarsi anche per conto suo alla propria formazione, ma avessimo delegato solo alla scuola il compito di formare le menti dei giovani.
Lavorando spesso con le scuole, quante volte ho sentito gli insegnanti lamentarsi della scarsa capacità critica dei loro studenti... frutto, a quanto pare, di un approccio che ancor oggi, in troppi casi, riempie le teste di nozioni anziché di pensieri, le rende menti riceventi anziché pensanti.
Un approccio che gli stessi insegnanti faticano a superare, per una quantità di ragioni che sarebbe arduo elencare, ma forse soprattutto perché, tutto sommato, gli stessi genitori attribuiscono alla scuola questo compito, giungendo a lamentarsi se il figlio, anziché portare a casa quaderni perfetti riempiti di perfette schede da compilare, li riporta pieni di elaborazioni sue, di risultati di esperimenti fatti nella natura con gli insegnanti, di cornicette create e colorate da lui, delle sue prime parole sgrammaticate.
E forse non è un caso che da questo sistema scolastico “imprigionato”, che non riesce ad evolvere nonostante le moltissime persone desiderose di compiere l’evoluzione, alcuni giovani escano incapaci di prendere decisioni significative sul proprio futuro, se dobbiamo credere agli allarmi lanciati periodicamente sui Neet. Tutti i bambini nascono capaci e desiderosi di apprendere: perché non dobbiamo credere che sia proprio questo il destino dell’essere umano, crescere grazie alla sua curiosità e alla delicatezza di qualcuno capace di soffiarvi sopra e non soffocarla, e non perché qualcuno gli insegna “come si fa”? Ovviamente la mia va letta, a sua volta, come una provocazione: certo, esistono anche esperienze di scuola diversa, che sarebbe un peccato perdersi viaggiando per il mondo. Ciò che vorrei trasmettere è un invito è a non pensare a senso unico, perché i luoghi dell’apprendimento non sono e non possono essere soltanto quelli ufficiali. Se relegassimo lì l’apprendimento, correremmo il rischio di avere generazioni che si limitano a svolgere un ruolo passivo nella società, anziché quelle di cui abbiamo davvero bisogno: generazioni capaci di uscire dalla scuola e guardare in faccia il mondo, per guidarlo oltre, per portarlo in salvo.

Astrid Mazzola

Però io credo nei simboli

Provocazione riuscita, anche se lei sa fin troppo bene che non andremo da nessuna parte se qualcuno, prima, non ci avrà prima dato gli strumenti per intraprendere il viaggio della vita. Fra l’altro mi spaventa l’idea della conoscenza come qualcosa di inutile o persino come qualcosa di pericoloso, l’idea - che prende sempre più piede, “grazie” anche ad una certa politica (non tutta, per fortuna) che manifesta una discreta allergia per la cultura, per la lettura, per la profondità, per il sapere in generale - che si possa prescindere dalla scuola, dall’Università, dalla formazione. Detto questo, per fermarmi sulla mia risposta (alla quale lei fa riferimento), io continuo a credere nell’esempio. E Greta è un esempio planetario: di coraggio, di caparbietà, di attaccamento all’ambiente, di timore rispetto all’incoscienza di molti pezzi della società, anche di rivolta sana e civile. Ma proprio perché è un esempio, deve ricordarsi che molti altri ragazzini potrebbero copiarla ed emularla, non solo nel portare avanti la sua battaglia, ma anche nel lasciare la scuola. Pensi a come sarebbe diverso se Greta potesse dire, a fine anno, che è riuscita ad ottenere i risultati che ha ottenuto anche facendo i salti mortali per riuscire a farsi promuovere a scuola. I sogni sono come aquiloni: per volare hanno bisogno del vento dei pensieri, delle parole, dei libri (che ci fanno conoscere anche pensieri molto diversi dai nostri), dello studio e di molto altro. Penso che i simboli - giocando con le parole di Shakespeare - non siano fatti solo della stoffa di cui sono fatti sogni.

a.faustini@ladige.it

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