Alla Cooperazione servono veri manager

La lettera al direttore

Alla Cooperazione servono veri manager

Il caso delle dimissioni di buona parte del Cda della Federazione delle cooperative trentine, ci trasmette un messaggio apartitico, di totale rottura rispetto al passato, e molto semplice da capire, ovviamente per chi lo vuole.
Realtà cosi complesse, con la con-presenza di molteplici indirizzi di attività a volte “quasi“ contrastanti (sociale e credito), con all’interno realtà economiche di dimensioni rilevantissime per il territorio ma anche a livello generale (si pensi alle cantine e a qualche consorzio costruttori), possono essere gestite solo e sottolineo solo da persone con indubbie e comprovate capacità di management.

All’interno di parecchie università, credo anche Trento ma sicuramente alla Bocconi, alla Cattolica di Milano, a Firenze per non parlare dei master della Sda (scuola direzione aziendale) Bocconi e di quelli del Cuoa di Vicenza e della Business School del Sole 24 Ore, all’interno dei corsi di Management e/o Strategia d’Impresa esistono specifici moduli che spiegano (codice civile alla mano) come si gestisce un consiglio d’amministrazione.

Se qualcuno non se ne fosse accorto, i tempi in cui i Cda delle cooperative si tenevano in canonica con il curato a fare da segretario verbalizzante, sono finiti a maggior ragione per la Federazione delle Cooperative Trentine. Già in occasione delle recenti nomine delle Vice Presidenze i malumori erano stati tanti, cosi come erano stati tanti i segnali che forse le capacità di gestire il CDA da parte della Presidente Mattarei non erano “coinvolgenti” per i vari partecipanti.

La realtà economica attuale in cui operano anche le cooperative al di la dei loro principi fondanti e che quindi deve essere tenuta in considerazione dall’organo di governo delle stesse, è lontana anni luce dal principio cooperativo una testa un voto. Vi sono delle cooperative con volumi tali da dover essere gestite (o perlomeno dovrebbero) da manager autorevoli che poi mal sopportano essere “gestiti” da persone con competenze nemmeno paragonabili, o da tecnici super partes (vedi dott. Spagni) in identiche condizioni. Inoltre, se un settore per l’area di business in cui opera contribuisce di più, è logico che voglia avere adeguata visibilità (nel mondo non cooperativo si direbbe maggior potere). Principi fondanti ormai del tutto anacronistici e non mi riferisco a mutualità e solidarietà ma alle regole di ingaggio dei consiglieri non possono che produrre situazioni come quella di questi giorni e se questo non si tiene ben presente, presidenti della Federazione ne vedremo cambiare tanti e in fretta.

A proposito, senza più gran parte dei contributi delle BCC che costituivano il grosse delle entrate della Federazione, qualcuno si sta ponendo la domanda di come garantire continuità economica alla stessa?

Piero Paganini - Villazzano


 

Siamo di fronte a un passaggio epocale

Penso che siano in molti, almeno all’interno del mondo coop, a porsi la sua domanda finale. Siamo di fronte ad un passaggio epocale: la presidente uscente è stata votata perché ha saputo rappresentare - in “campagna elettorale” - l’idea del cambiamento. Ma quell’idea, oggettivamente, è rimasta solo sulla carta: chi in passato aveva saputo emergere come spina nel fianco, come interlocutrice spesso scomoda (la Mattarei appunto) e come “zanzara” (rubo una parola emblematica al dimissionario Paolo Spagni), alla prova del nove ha dimostrato di non saper tenere insieme un movimento complesso che non va solo governato, ma anche capito, tenuto per mano, mi verrebbe da dire accarezzato, con un profondo rispetto per gli ambiti che della federazione sono stati sempre il motore e persino la benzina. Mattarei è partita da sola, con qualche sostenitore che sperava di trovare uno spazio in un nuovo sistema di potere (usiamo pure questa parola, perché stiamo parlando anche di questo) e ha finito in una solitudine quasi disarmante. Perché, come la politica insegna, non basta espugnare il fortino o il castello. Bisogna anche saperlo mandare avanti, una volta che lo si espugna. Sullo sfondo, ci sono enormi cambiamenti (l’economia richiede professionalità e capacità che vanno ben oltre la disponibilità e la buona volontà), c’è la crisi di una classe dirigente (in pochi anni siamo passati da Schelfi a Fracalossi, da Fezzi e alla Mattarei, perdendo anche quella continuità che, seppur con qualche stortura, s’era rivelata vincente), c’è lo scricchiolio di un sistema che va ripensato, c’è il rapporto sempre più complicato fra centro e periferia (vale per le famiglie cooperative, per le cassi rurali, ma non solo) e c’è una società che è profondamente cambiata, ci sono soci e interlocutori che non si accontentano più di una frasetta al volo e di una pacca sulla spalla. In fondo, la vicenda della Cassa rurale di Lavis, se la si guarda con il giusto distacco, ha dimostrato - paradossi inclusi - tutto questo. Lei evidenzia in sostanza ciò che solo un cieco non ha visto o voluto e saputo vedere.

a.faustini@ladige.it

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