In un mondo di ingiustizie ci mancava il Coronavirus
La lettera al direttore
In un mondo di ingiustizie ci mancava il Coronavirus
Aggrappandosi a un luogo comune, quasi quasi si potrebbe azzardare e dire che andava meglio quando andava peggio. Crollata l’Unione Sovietica, diffusa era l’opinione che finalmente si sarebbe dischiuso un avvenire di pace e prosperità per l’intera umanità. Al contrario, è come se si fosse aperto il Vaso di Pandora, dal quale sono schizzate fuori rivincite a lungo meditate dalle classi a suo tempo defraudate dai privilegi e dal potere. Ha aperto conflitti, ingigantito le opportunità e purtroppo seminato nuove povertà. Alla fin fine sono sempre le grandi potenze, Russia e America in primo piano, a tirare i fili e a dettare legge, per garantirsi i punti strategici, le materie prime e i mercati. In buona compagnia con quanti, liberatisi dal giogo delle grandi potenze hanno colto l’occasione per rifarsi del torto patito e calcando sul conto: i così detti sovranisti. Gli americani si sono impegnati a più riprese in Iraq, contribuendo a spazzare via il regime di Saddam Hussein, rimanendone impigliati; i bosniaci si sono vendicati della secolare occupazione islamica, liquidando a Srebrenica oltre ottomila mussulmani serbo-bosniaci; la Russia ha fatto sua la penisola di Crimea, che faceva parte dell’Ucraina nel silenzio assordante delle democrazie; l’insurrezione sunnita che ha portato alla nascita dello stato Islamico (ISIS), ha causato la guerra civile in Iraq e l’intervento militare internazionale. E via di questo passo. Lo sconquasso causato dalla caduta dell’impero sovietico e i conflitti e le destabilizzazioni seguite, i cambiamenti climatici hanno messo in fuga milioni di disperati alla ricerca di più umane condizioni vita, solcando deserti e attraversando mari, che per decine di migliaia di loro ha rappresentato la loro tomba. Altri ancora stazionano in terra di nessuno, come quanti da anni sopravvivono in campi profughi come quello di Lesbo. Il governo greco e l’Europa hanno delegato quasi completamente questi sfortunati alla società civile, l’accoglienza dei richiedenti asilo. Nel campo di Moria, ex base militare, progettato per accogliere tremila persone oggi sopravvivono in 20.000, dei quali 7.000 sono bambini. Per chi vive in questo campo tutto si risolve in un solo e unico modo: una coda, sia per i bagni, uno ogni cento persone, o per un pasto caldo. Bambini che per scappare da quest’inferno spesso tentano il suicidio. Per non parlare delle decine di migliaia di questi disgraziati arrivati in Italia, costretti a raccogliere pomodoro sotto un sole cocente per dieci dodici ore, per sei sette euro all’ora e dormire in ghetti che un Paese rispettabile non tollererebbe. E poi, quanti di questi fuggiaschi arrivati fin quassù in Trentino che, sia pure con le difficoltà e i limiti, il precedente governo - Pd-Patt - aveva cercato d’integrare, ospitandoli in vari paesi della Provincia e avviandoli a corsi di cultura e professionalizzazione e che, sciaguratamente l’attuale governo leghista ha smontato disseminandoli per strada. Ora, l’Italia e il mondo intero è alle prese con la pandemia del Coronavirus. Sarà dura, ma alla fine l’umanità saprà vincere anche questa difficilissima battaglia, anche se oggi risulta impossibile stabilire il prezzo che si dovrà pagare in vite umane e in economia. Conclusa la pandemia, il mondo dovrà interrogarsi, rendersi conto che quanto si lasceranno alle spalle è in buona parte imputabile a ingiustizie e a condizioni degradanti cui sono sottoposti una gran parte di quanti popolano questo pianeta.
Giovanni Armani
Un elenco un po' esagerato, mi pare
Il nesso fra il coronavirus e le varie ingiustizie che lei elenca mi pare un po’ forzato. Mi auguro altresì - insieme a lei - che da questa emergenza esca un mondo più attento all’altro, ai problemi del pianeta, alle grandi questioni (dell’umanità, parola sempre più desueta, se declinata in un certo modo) che restano aperte. Per paradosso, in questi giorni non possiamo stringerci, salutarci, abbracciarci, ma stiamo (ri)scoprendo - sentendoci tutti stranieri, in un certo senso - che è giunto il tempo, come ho scritto anche nel mio editoriale, di passare dall’io al noi. Una buona lezione, questo sì, anche per una politica che tende ad escludere anziché a includere, a costruire muri anziché ad abbatterli. Cogliamo il buono che c’è in questo dramma per migliorare e migliorarci e per andare avanti in modo diverso, ma senza forzature e dietrologie.
a.faustini@ladige.it