Rischiano di vincere solo i carnefici

Caro direttore,
non si spara sulla croce rossa; neppure in tempo di guerra. Eppure questo è un tempo di guerra: lo testimoniano gli infiniti abusi perlopiù perpetrati tra le mura domestiche, complici molto spesso ritardi negli interventi delle forze dell'ordine la complicità dei vicini che sentono ma tacciono, la ritrosia delle stesse vittime a uscire allo scoperto e a denunciare i loro aggressori.

Eppure questo è un tempo di guerra dove le donne ammazzate per troppo amore riempiono quasi quotidianamente le cronache dei giornali e mi riferisco soltanto al nostro paese ovviamente perché se volessimo allargare le maglie fino a giungere alle notizie europee nonché internazionali, la situazione femminile rimarrebbe uno dei nodi irrisolti della civiltà contemporanea.

Eppure questo è un tempo di guerra perché spesso sentenze troppo miti accompagnate quasi sempre da misure cautelari domiciliari, facilitano il compito degli aggressori. Eppure questo è un tempo di guerra dove le vittime non hanno voce e dove invece le cronache che dovrebbero essere asciutte, comprovanti, essenziali nella narrazione, diventano sempre più spesso la vetrina di un popolo voyeurista che sugge con avidità quello che il giornalista in primis decide di pubblicare!

Eppure questo è un tempo di guerra perché le vittime secondo una buona parte della cultura imperante "se la sono cercata": i criminali odiosi e assassini che dopo il delitto immancabilmente fuggono spesso con la complicità dei parenti, quando vengono arrestati si giustificano dicendo sempre: "io la amavo", giustificando nel contempo stesso il diritto al possesso e quindi come in una faida antica la proprietà!

Eppure in questo tempo di guerra in queste giornate così tese per il dolore delle vittime e descritte nei minimi particolari da certa Stampa, accadde anche che Rai 2 complice la trasmissione Detto Fatto metta in onda un ignobile teatrino sui consigli per fare la spesa sexy dove due povere comparse alquanto poco vestite mimano una specie di improbabile spesa in un supermercato che somiglia molto di più a un night club e dove sullo sfondo mi pare intravedere al posto delle casse il palo per la lap dance. Senza vergogna mandano in onda questo teatrino che svilisce tutte le donne e che spero venga sancito nella maniera più severa possibile: primo perché il canone della RAI lo pagano i cittadini, secondo e questo lo dico come giornalista, perché è intollerabile far passare Messaggi di questo genere in giornate particolarmente evocative come quella del 25 novembre.

Caro direttore, non credo di dover aggiungere altro se non la speranza che alla fine di questa guerra appaia finalmente un raggio di sole!

Enrico Dalfiume


 

Non tutti i giornalisti sono uguali

Immagino che quando parli di troppo amore - ti do del tu, visto che sei un collega - tu stia provocando. Perché io vedo solo troppo odio, troppa violenza, troppi occhi chiusi.

Una volta Mauro Corona - che in tv sembra un giullare fortemente divisivo, ma che in un incontro a due resta un artista poliedrico di grande profondità - mi ha detto una cosa che mi ha spiazzato: «Viviamo in un Paese nel quale le mamme sono pronte a coprire i loro figli dicendo che hanno commesso loro - e non i figli, appunto - un atroce delitto, magari un femminicidio».

Lì per lì quella frase mi ha fatto venire i brividi e ho pensato: Mauro è il solito provocatore. Ma a volte, ho pensato più tardi, serve uno schiaffo per guardare in faccia la realtà, per descrivere una società che troppe volte non ascolta, si gira dall'altra parte e si fa addirittura complice.

Una società che tende a fare programmi per dare spazio agli assassini (perché le vittime non possono mai difendersi, mentre i mostri o i terroristi un po' di spazio e un po' di audience lo trovano sempre). Una società che fa "spot" intollerabili come quello di cui parli tu (per fortuna la Rai ha sospeso tutto e annunciato provvedimenti; ma non si poteva evitare questa deriva insensata?). Una società sempre pronta a condannare le vittime anziché i carnefici.

Ti posso però dire una cosa: non tutti i giornalisti sono uguali. Non tutti danno per scontato che il mondo vada (e debba andare) così. C'è ancora chi starà sempre dalla parte delle vittime, non dando fiato o spazio a chi ha ucciso prima i sogni, poi i sentimenti, poi le donne, infine la giustizia.

lettere@ladige.it

comments powered by Disqus