Inchiesta petrolio: più forte il fronte del sì al referendum
Le dimissioni del ministro dello Sviluppo Federica Guidi e il referendum sulle trivelle in mare: molto più di un binomio, almeno per gli ambientalisti; che ora al referendum del prossimo 17 aprile credono, forse, più di prima. Perché nella coincidenza, quantomeno temporale, vedono una spinta per andare a votare; con l’obiettivo di conquistare, oltre al quorum, la vittoria del sì all’abrogazioen della norma che rende perpetue le concessioni petrolifere.
Un sì che significa lanciare un messaggio al governo sulla politica energetica del Paese: sostanzialmente uno stop in prospettiva all’estrazione di petrolio e gas che è ormai il «passato», guardando a un «futuro di rinnovabili».
Un intreccio, sia pure simbolico, che a 15 giorni dal voto referendario scuote la tranquillità degli astensionisti e dei contrari al quesito abrogativo.
Non solo: la querelle trivelle scalfisce il governo; al punto che uno dei suoi ministri ha dovuto lasciare il dicastero di via Vittorio Veneto dove, tra l’altro, si decidono le concessioni.
E di fatto la questione entra in Parlamento. Tanto che Sinistra italiana, con Alfredo D’Attorre, parla di un «referendum che assume un significato diverso: non più sulla pulizia del mare ma sulla pulizia della politica».
Pippo Civati e l’ex ministro Mario Catania declinano, la campagna referendaria, come «una battaglia per cambiare il profilo energetico del Paese».
Il comitato del referendum «Vota si» esprime «indignazione» per l’inchiesta sul petrolio, aggiungendoci il carico: «Il sospetto che le istituzioni preposte alle politiche energetiche nazionali e ambientali possano essere legate alle lobby petrolifere gettano un’ombra ancora più inquietante sulle scelte del governo Renzi».
Per Rossella Muroni, presidente di Legambiente, la questione è «politico-morale: dopo le dimissioni del ministro Guidi è ancora più urgente andare a votare per dare un segnale chiaro».
Una strada percorsa anche dal Wwf: «L’Italia è un paradiso fiscale per le aziende petrolifere. Le servitù estrattive mettono a rischio economia, ambiente e salute; il sistema con cui si gestisce il settore estrattivo è pieno di opacità e di privilegi che fa dell’Italia un paradiso fiscale per le aziende petrolifere».
Il sigillo lo mette Greenpeace secondo cui «le piattaforme interessate dal referendum sono dei ferri vecchi, con il 40% di impianti fermo, e per di più «tre su quattro non pagano le royalties».
Il vicepresidente del Wwf Italia, Dante Caserta, intervenendo al convegno «Oltre le trivelle, un mare di risors», ha osservato: «Dalle dimissioni del ministro Guidi il tema petrolio e appalti è su tutte le pagine dei giornali per i suoi aspetti di illegalità, ma mi sento di dire, proprio oggi, che è anche il sistema assolutamente legittimo con cui si gestisce il settore estrattivo che è pieno di opacità e di privilegi che fa dell’Italia un paradiso fiscale per le aziende petrolifere.
Un sistema che andrebbe riformato facendo pagare il dovuto, valutando i costi delle ricadute ambientali e sulla salute». Si tratta di «un paradiso dove le servitù petrolifere mettono a rischio l’ambiente e i settori economici che vivono delle risorse naturali».