Salvata l’aquila impigliata nelle reti elettriche anti-lupo dei pastori a Canal San Bovo
Accanto a lei un agnellino morto, forse la sua preda: «Primo caso in Trentino, i veri pericoli per i 70 rapaci presenti sono il piombo dei pallini da caccia che ingeriscono e i cavi delle funivie»
TRENTO. Un agnellino a terra, un volo in picchiata e poi lo schianto, avvenuto nella recinzione elettrificata anti-lupo posta a presidio di un pascolo in zona Canal San Bovo. È questo il triste episodio avvenuto circa un mese fa ad un'aquila reale femmina impegnata in una battuta di caccia.
L'esemplare è rimasto impigliato diverse ore prima che un pastore, verso sera, si accorgesse della sua presenza. Sul luogo è immediatamente intervenuto il Servizio Forestale di Canal San Bovo. Il rapace è stato tratto in salvo dal comandante Diego Taufer per poi essere consegnato al Centro recupero fauna selvatica di Trento gestito dalla Lipu e dai forestali.
«È la prima volta di un caso simile in Trentino - spiega Sergio Merz, delegato della Lipu in Trentino e responsabile del Centro recupero - Purtroppo ci sarà sempre una prima volta, con gli ostacoli che mettiamo nelle montagne».
Secondo le prime ricostruzioni la femmina, di circa 6 anni e per un peso di 5 chili, è stata attratta dalla presenza di alcune pecore libere al pascolo o dall'agnellino rinvenuto morto accanto a lei. Non vedendo la recinzione però, nella fase di attacco è rimasta impigliata nella rete elettrificata.
«Una vera tortura», chiosa Merz. Al momento è seguita dal personale del Centro, tra medicazioni e cure riabilitative. «Non sappiamo ancora se tornerà a volare. Per diverse ore ha cercato di divincolarsi invano e le lesioni ai nervi che ha subito potrebbero essere irreversibili. A breve faremo una prova nel tunnel di volo» ha concluso riguardo all'accaduto.
Nonostante questo episodio rappresenti un triste caso isolato e i numeri della specie in aumento (oggi in Trentino si contano 65-70 coppie di aquila con un incremento del 46% rispetto agli anni '80), secondo gli esperti permangono alcuni potenziali pericoli per i rapaci su scala alpina. Pericoli prevalentemente di origine antropica, ossia provocati dall'uomo, essendo l'aquila reale al vertice della catena alimentare senza predatori naturali diretti.
La prima minaccia per la sopravvivenza è l'intossicazione da piombo. Come avviene? Il piombo viene ingerito dai rapaci che si cibano delle carni di animali colpiti dai cacciatori che non vengono recuperati o delle viscere di ungulati lasciate sul luogo di caccia. L'assunzione del piombo è facilitata dal fatto che pallini e proiettili si frammentano quando impattano contro il bersaglio, formando schegge anche di piccolissime dimensioni che si irradiano nei tessuti della preda.
«I casi sono in aumento. Si dovrebbero utilizzare pallini in acciaio o in rame» prosegue Merz. Questo fenomeno, chiamato anche saturnismo, si manifesta nell'animale in anomalie del comportamento, disturbi di equilibrio, incapacità di coordinarsi nel volo e paralisi degli arti inferiori. Se la quantità di piombo assorbito supera il livello critico, le funzionalità degli organi possono essere compromesse al punto da causare la morte.
Come evidenzia uno studio durato oltre 10 anni e condotto da Ersaf-Direzione del Parco Nazionale dello Stelvio e dalla Provincia di Sondrio, l'avvelenamento cronico e acuto da piombo sta provocando una "strage silenziosa di aquile reali e avvoltoi". Lo studio condotto su un campione di 252 aquile reali e avvoltoi raccolti feriti o morti in Europa centro meridionale (tra cui anche il Trentino), ha evidenziato che il 44% mostrava valori cronici di piombo superiori al normale e il 26% aveva livelli da avvelenamento.
Tutte le aquile recuperate in provincia di Trento sono state analizzate con esami specialistici e i risultati, ottenuti grazie alla collaborazione del Muse e del Centro recupero fauna selvatica, sono allarmanti: delle 9 aquile trentine, 7 erano acutamente o cronicamente contaminate da piombo, per un 79% del totale.
Ma ci sono anche altre criticità all'orizzonte per la specie: cavi delle funivie, balconi vetrati in alta quota contro cui vanno a sbattere, il bracconaggio. «È noto l'episodio avvenuto l'anno scorso in Val Pusteria, in cui un bracconiere ha sparato ad un'aquila nel suo nido durante la cova di due uova» incalza Merz. Molteplici, sono anche le misure a salvaguardia dei rapaci che è possibile mettere in atto.
«In primis l'eliminazione di munizioni a piombo - ribadisce l'esperto - A tal proposito invito a firmare la petizione online "Stop al piombo sulle Alpi. Basta rapaci intossicati"». La petizione, lanciata da una rete di associazioni ambientaliste fra cui Wwf, Legambiente e Lipu, ha già superato le 9000 sottoscrizioni. E ancora: «Sarebbe necessario poi rendere visibili i cavi elettrici e delle funi con delle banderuole e moderare il disturbo antropico che avviene con l'uso di droni, deltaplani o scalate in zone di nidificazione» ha concluso.