Bostrico, un disastro nei boschi: fra Vaia e riscaldamento climatico, il parassita avanza in maniera incontrollata
Il punto in una serata delle Asuc e dei Comuni della val di Mocheni: andrebbe fatta una azione di esbosco preventivo entro maggio, ma mancano le ditte ed anche i fondi: «Doveva esserci una azione coordinata con la Forestale, che è mancata»
ALTA VALSUGANA. Bostrico, a che punto siamo? La serata organizzata dalle amministrazioni comunali della Valle dei Mocheni e dalle rispettive Asuc (presenti rappresentanti anche di Pergine e Vignola), lo scorso lunedì a Mala, ha tentato di dare una risposta a questo quesito.
Ad illustrare lo stato dell'arte attuale ed anche le prospettive future è stato il vicequestore aggiunto e responsabile del distretto di Pergine Giorgio Zattoni con Cristina Salvadori della Fondazione Edmund Mach, responsabile del monitoraggio fitopatologico delle foreste trentine.
Una serata per imparare a conoscere il bostrico (ghiotto di abeti rossi), come si è diffuso in maniera incontrollabile e quali azioni è possibile mettere in campo per arginarlo.
«Il bostrico - ha detto Zattoni - è un insetto utile ai fini della rigenerazione del bosco, salvo quando, per diversi fattori, pullula in maniera incontrollata. Gli effetti più evidenti del suo passaggio sono ora le grandi aree esboscate, che però ci preoccupano per i conseguenti problemi idrogeologici».
«Il bostrico - ha spiegato Salvadori - in condizioni normali sa quali alberi colpire. Tuttavia in casi di schianti, periodi di aridità prolungata, boschi monospecifici, piante già indebolite, si riproduce con esplosioni demografiche, spostandosi poi sulle piante sane».
Fra le principali cause dell'esplosione della diffusione dell'insetto vi è dunque il cambiamento climatico, che «riesce a modificare il ciclo biologico del bostrico - sostiene Salvadori - che sviluppa due generazioni in un anno anche al di sotto di 1600/1700 metri di quota, con il 90% dei nuovi attacchi che si sviluppa entro 100 metri, ma con focolai che in alcuni casi possono estendersi anche oltre, a chilometri».
Quali le azioni di contrasto da mettere in campo, dunque? Essenzialmente di prevenzione, perché «quando i livelli di diffusione sono troppo elevati - ha proseguito Salvadori - non c'è deterrente che tenga».
E per prevenzione dunque si intende avere boschi con diversificazione delle tipologie di alberi oppure attuare interventi di controllo (come taglio ed esbosco di piante morte di recente). «Il taglio fitosanitario - secondo l'esperta di Fem - andrebbe fatto entro marzo-aprile, al più tardi maggio-giugno, per evitare la propagazione delle nuove generazioni. È utile altresì evitare il taglio dei margini di bosco attaccato, per proteggere le piante sane che stanno dietro».
«È importante esboscare entro la fine dell'inverno - ha fatto eco Zattoni - ma l'anello debole è proprio la carenza di ditte boschive sul territorio, ed il fatto che o non si riesce a vendere il legname o la ditta taglia in un periodo sconveniente. È mancata, per diversi fattori, l'imposizione di una regia dall'alto, coordinata dal Corpo Forestale. Noi eravamo pronti».
Un problema anche finanziario (il piano nazionale prevede dei fondi, ma attualmente non si sa quali misure di finanziamento adottare) oltre che di sicurezza, sia dei boschi che della viabilità interessata ai lavori e poi per i dissesti idrogeologici.