Quattro anni fa la grande paura e le devastazioni di Vaia, ora il monito sul clima e l'allarme per il bostrico che minaccia le foreste
L'uragano imperversò quattro giorni, la notte drammatica fu quella del 28 ottobre 2018: in Trentino e nelle zone confinanti la violenza del vento e dell'acqua devastò infrastrutture civili e foreste, cimiteri di alberi, case scoperchiate e vittime
REPORTAGE La rinascita nei boschi trentini travolti da Vaia
ALLARME Bostrico, un disastro nei boschi fra Vaia e clima più caldo
TERRITORIO Redebus: ricerca del paesaggio in un grande cimitero di alberi
TRENTO. La notte più paurosa, anche in Trentino, fu quella del 28 ottobre. Quattro anni fa le Dolomiti venivano colpite dalla tempesta Vaia, quattro giorni di violento maltempo (dal 26 alm 30 ottobre 2018) che devastò molte foreste, specie in Trentino e nel Bellunese, e causò molti danni alle infrastrutture. Ponti danneggiati, case scoperchiate, tubature distrutte, edifici resi inagibili. Tanta paura, in particolare durante quella notte interminabile.
La tempesta devastante, in realtà un uragano, colpì anche altre aree del nord Italia e dell'Europa. L'atipicità e l'intensità del fenomeno furono indicate da molti esperti come ennesimo segnale degli effetti dei cambiamenti climatici provocati dall'inquinamento atmosferico.
In Trentino furono oltre 500 le persone evacuate, le scuole rimasero chiuse due giorni, in molte zone vi fu un prolungato blackout elettrico. La Provincia stimò i danni al patrimonio forestale in quasi 4 milioni di metri cubi di legname schiantato. Nel complesso, 359 milioni di euro di danni fra attività silvopastorali, strade e altre infrastrutture.
La tempesta fece anche due vittime, in val di Sole e val di Non: Michela Ramponi di 45 anni, a Dimaro, nella casa travolta da acqua e fango, e Denis Magnani, 34 anni, di Segno, colpito da un fulmine.
Nel Bellunese i morti furono tre: una persona schiacciata da un platano caduto a Feltre, un uomo scivolato in un torrente a Falcade e un'anziana travolta da un albero a Selva di Cadore.
Negli anni successivi a Vaia le vallate dolomitiche, in Trentino specialmente la val di Fassa, hanno purtroppo registrato altri eventi estremi, compreso quello dell'agosto scorso: temporali violentissimi che provocarono un'alluvione facendo molti danni, con centinaia di persone evacuate.
Di Vaia quattro anni dopo si parlerà al convegno “Foreste e clima”, domani, sabato, alle 11 al Museo degli usi e costumi della gente trentina a San Michele all’Adige.
I relatori saranno Lorenzo Ciccarese, dirigente tecnologo, responsabile dell'Area per la conservazione della biodiversità terrestre e della gestione sostenibile dei sistemi agro-forestali di Ispra, Giovanni Giovannini, dirigente del servizio foreste della Provincia e Günther Unterthiner, direttore dell'omologo servizio di Bolzano.
In Trentino e nelle altre aree colpite, dopo l'emergenza schianti nei boschi, è scattata quella per il parassita bostrico.
Il Distretto forestale di Cavalese, che riunisce le valli di Fiemme e Fassa, è il territorio trentino più colpito da questi due fenomeni. Anche per questo motivo l’assessorato provinciale alle foreste ha scelto questo come primo luogo degli appuntamenti programmati per fare il punto sulle strategie messe in campo dal Servizio competente nella gestione delle problematiche forestali.
Al centro dell’incontro che si è svolto negli spazi della Magnifica Comunità di Fiemme le iniziative di monitoraggio, sperimentazioni di contrasto e politiche di gestione dell’insetto. Monitoraggio. Nel distretto di Cavalese il bostrico ha attaccato circa 690mila metri cubi di legna. Si tratta di un insetto dell'ordine dei coleotteri che ha trovato sulle piante schiantate una grande quantità di substrato dove riprodursi, proliferando e determinando l'infestazione. Nel distretto il Servizio foreste ha dislocato 36 trappole per la cattura del bostrico.
Di queste trappole soltanto tre non hanno segnalato il superamento della soglia “epidemica” delle catture (pari a ottomila individui), segno di una situazione preoccupante, anche alla luce delle recenti alte temperature e della siccità che hanno avuto l’effetto di favorire le pullulazioni e dunque la diffusione dell’insetto. L’evoluzione della situazione appare al momento difficilmente prevedibile, in quanto legata alle condizioni meteorologiche. Come combattere il coleottero.
L'individuazione precoce degli alberi infestati e il loro immediato abbattimento ed esbosco costituiscono la forma più efficace di lotta contro il bostrico. Se le chiome sono già arrossate o grigie può essere conveniente, in determinati casi, lasciare le piante in bosco a protezione di quelle ancora sane delle aree circostanti.
Per il ripristino delle aree colpite la strategia prioritaria è quella della rinnovazione naturale, accompagnata comunque da quella artificiale con le piantine. Nel Distretto di Cavalese, ad oggi, le iniziative di rimboschimento hanno riguardato 78 ettari di bosco. L’aspetto prioritario è quello della sicurezza: vanno valutati caso per caso i potenziali rischi conseguenti all’asportazione delle ceppaie attaccate al suolo, per scongiurare il pericolo di crolli, valanghe e frane.
Non mancano le sperimentazioni attraverso attività di prevenzione e di individuazione precoce degli attacchi. La lente è puntata sulle strategie collegate alla pianificazione coordinata e concertata degli interventi, sulle difficoltà economiche che indirettamente investono i proprietari boschivi e sulla valorizzazione della filiera.
«Sviluppare una nuova strategia triennale appare essenziale – ha detto attraverso un messaggio l’assessora provinciale Giulia Zanotelli - anche per proporre delle norme di supporto che consentano di dare continuità alle gestioni forestali e contemporaneamente di fornire la protezione territoriale necessaria sotto l’aspetto idrogeologico. L’emergenza bostrico sta diventando motivo di preoccupazione in termini economici, serve garantire la protezione del territorio e snellire le procedure per l’utilizzazione delle piante».
Intanto Legambiente, in occasione del Forum nazionale "La Bioeconomia delle Foreste. Conservare, ricostruire, rigenerare", facendo il punto sul patrimonio boschivo italiano, rileva i grossi rischi per le foreste italiane che ospitano quasi la metà delle specie animali e vegetali di tutta Europa e una variegata biodiversità forestale. Calamità naturali ed eventi climatici estremi sono sempre più frequenti e hanno reso le foreste italiane più fragili.
Dall'analisi dei dati dell'ultimo aggiornamento dell'Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio (INFC), si evidenzia come il 4,3% dei nostri boschi sia interessato da danni più o meno evidenti su una porzione della copertura superiore al 30%, dato su cui hanno inciso sia gli incendi devastanti (dal 2017 al 2021) che la tempesta Vaia del 2018.
Le principali cause di danno sono fitopatie causate da insetti, funghi, batteri, micoplasmi e virus (33,8% della superficie del bosco con danni su almeno il 30% della copertura), eventi climatici estremi quali tempeste di vento, alluvioni, nevicate molto abbondanti (26,5%) e incendi del soprassuolo e del sottobosco (rispettivamente 20,7% e 1,9%). (red)
Nel Bellunese, al confine con Alto Adige e Trentino, nelle valli ladine del Col di Lana, è partito un progetto di rigenerazione forestale.
Pefc Italia, l'ente promotore della corretta e sostenibile gestione del patrimonio forestale, insieme a Rete Clima e a Coldiretti Belluno, grazie all'8x1000 dell'Istituto Italiano Buddista Soka Gakkai, dà il via al progetto "Ancora Natura per il Col di Lana".
L'intervento punta a ricostituire la morfologia delle foreste della zona, ripristinando il loro ruolo a livello ambientale, paesaggistico, economico, turistico, sociale e predisponendo una gestione condivisa tra amministrazioni pubbliche, associazioni di categoria, imprese e professionisti del territorio.
Il Comune di Livinallongo del Col di Lana è tra i territori che più hanno risentito degli effetti di Vaia, che ha limitato il potenziale economico della zona, specialmente quello turistico.
Il progetto, che si concluderà nell'estate 2024, prevede in primis la rimozione sicura del materiale legnoso ancora presente sul terreno a seguito di Vaia. Il materiale sarà selezionato e stoccato, per essere riutilizzato dalla comunità locale per riscaldamento, edilizia e architettura urbana, artigianato artistico, attività solidali, formazione professionale.
Il Pino cembro sarà la specie principale utilizzata per l'area in cui verrà realizzato il rimboschimento, insieme al Larice, all'Abete Rosso e a qualche esemplare di Faggio.
Nel complesso, saranno messe a dimora fino a 10.000 nuove alberature. Tutta la gestione dell'intervento sarà mirata anche all'ottenimento della certificazione Pefc, in grado di assorbire carbonio e mitigare il cambiamento climatico in atto.
Agli interventi tecnici si affiancherà la promozione dell'attività nell'ambito di percorsi Corporate Social Responsibility (Csr) di varie imprese, con l'intento di replicare l'intervento di gestione forestale anche in altre aree limitrofe. Saranno inoltre realizzati percorsi didattico-contemplativi rivolti alle scuole e alla comunità locale.