Se l'alpinismo aiuta a dare un senso alla vita: «La vetta ha un grande significato simbolico»
Lee Davidson, docente alla Victoria University di Wellington, illustra le ricerche che ha condotto su un gruppo di scalatori neozelandesi. Se ne evince che l’arrampicata aiuta a formare l’identità perché fornisce l’opportunità di mettersi alla prova in un ambiente in cui commettere un errore significa pagarlo: il pericolo è calcolato e le abilità acquisite aiutano ad affrontarlo
Può l'alpinismo aiutare le persone ad avere una prospettiva nella vita? Sì, perlomeno secondo gli studi che Lee Davidson, docente alla Victoria University di Wellington, ha condotto su un gruppo di alpinisti neozelandesi. Intervistando a fondo ventidue scalatori, trascorrendo molto tempo con essi, la psicologa ha riscontrato in loro un forte senso di identità.
Secondo la sua ricerca, un modo in cui l’arrampicata aiuta a formare l’identità è perché fornisce l’opportunità di mettersi alla prova in un ambiente in cui commettere un errore significa pagarlo: il pericolo è calcolato, e le abilità acquisite aiutano ad affrontarlo. Molti degli intervistati hanno spiegato che la montagna è divenuta per loro un punto di riferimento, una solida base attorno alla quale ruota tutto il resto.
La montagna può rappresentare il senso della vita? Lo abbiamo chiesto a Renzo Luca Carrozzini, psicologo e psicoterapeuta, iniziando da una domanda pressoché scontata: cosa rappresenta la vetta per un alpinista?
«La vetta, dal punto di vista simbolico e immaginativo, ha un grande ed importante significato. Infatti, anche nel linguaggio comune per dire che una persona ha raggiunto importanti traguardi di vita, diciamo solitamente: “Guarda come è salito in alto”. Dal punto di vista psicologico, il concetto di “alto” e di “basso” ricoprono interessanti significati. Sono concetti che rientrano nella cosiddetta psicologia dello spazio, ove alto e basso, destra e sinistra hanno avuto - da sempre - un senso particolare. Ad esempio, in tutte le religioni Dio è posto sempre in alto. E così, se pensiamo al Paradiso, lo immaginiamo lassù, nel cielo, in alto. L’alto è il luogo “sacro”, il luogo di mete, di traguardi, di aspirazioni e della spiritualità.
In contrapposizione abbiamo il basso, posizione che simbolicamente rappresenta gli istinti e le pulsioni, ed è lì che immaginiamo l’Inferno. La destra, invece, richiama la forza e la mascolinità, la paternità, il futuro, mentre la sinistra rappresenta il femminile, la maternità e il passato. L’alto, così come la vetta, attiene alla spiritualità interiore».
E perché la vetta è così importante? Non sono pochi coloro i quali hanno perso la vita per raggiungerla.
«La cima è un vertice, è sicuramente un traguardo significativo, ma l’aspetto più importante e quello di mettersi in cammino verso quella vetta. Un proverbio dice che se devi vedere il piano devi salire il monte: per gustare la vita e la normalità devi salire, camminare, muoverti, uscire dall’immobilismo. Rabindranath Tagore, maestro di Gandhi, ha detto che sia che si debbano percorrere uno o mille miglia, il più importante è il primo. L’obiettivo è il movimento, il cambiamento, il programmare. Puoi anche non arrivare in vetta, ma ciò che importa dal punto di vista del vero significato della vita è sentire il bisogno di andare».
Parliamo di un’attività che ha dei margini di rischio. Perché si accetta?
«Se mi pongo degli obiettivi con una certa serenità e senza l’ansia e l’esaltazione del risultato, il senso della vita mi fa percepire che ci sono sempre e naturalmente dei limiti. Ne segue che si accettano dei rischi nella misura in cui abbiamo la sensazione di poterli controllare, di poter arrivare fin lì, forse anche di superali, ma senza mettere a rischio la mia vita. Mio zio, Pino Fox, era un un alpinista e mi diceva: “molti miei amici sembravano più coraggiosi di me in montagna, ma non ci sono più”. Lui, pur avendo scalato pareti vertiginose e aperto diverse nuove vie, aveva il senso del limite.
In Nuova Zelanda, Lee Davidson ha trovato come denominatore comune fra gli alpinisti il senso di identità, il riconoscersi nel raggiungimento di certe mete come obiettivo di vita. Porsi queste mete e fare un cammino verso di esse è un percorso per prove ed errori: provo finché posso, valuto i miei limiti. La montagna aiuta a valutare il momento diminuendo l’ansia della conquista. Alpinismo, dunque, non come fine, ma come mezzo. Mezzo di trasformazione e di cambiamento. Per questi motivi, esso è e diviene vero senso di vita, per questo arricchisce e dà concretezza, e la stessa fatica - che oggi spesso si evita - è segno consapevolezza del proprio Io».
Ma la storia dell’alpinismo è fatta di superamento dei limiti.
«Certi hanno la capacità di farlo, altri si sopravvalutano e sentono il bisogno di dimostrare a se stessi e agli altri che sono qualcuno: ma spesso falliscono inesorabilmente. Cristoforo Colombo ha aperto una strada al mondo intero e chissà quanti prima di lui ci avevano provato soccombendo all’esperienza. Poi, quando uno riesce, molti lo imitano e lo seguono perché sanno che quell’esperienza è fattibile e ciò dà loro serenità e sicurezza. Il raggiungimento della vette non deve dunque essere il fine, ma il mezzo».
Che tipo di persone sono gli alpinisti? Sono determinati, controllano bene le situazioni?
«In genere sì. Il vero alpinista è in grado di valutare passo dopo passo, lungo il percorso, come si sente e come va. La fatica che fa deve avere un feedback, gli deve comunicare molte importanti sensazioni».
Perché si pratica l’alpinismo?
«L’uomo ha bisogno di misurarsi, di sfidare se stesso. Non tutti lo fanno in montagna. L’importante però è riuscire a dare un senso alla propria vita e l’alpinismo è uno dei tanti modi che ti aiuta a percepire “chi sei e quanto vali”. Anche altre attività possono trasmettere il senso della vita: il lavoro, lo sport, la musica, l’arte, il volontariato: l’importante è che il tuo cuore e il tuo spirito siano aperti a recepire il cambiamento. Certo, la montagna associa molte “tessere” importanti, l’aria pulita, il panorama, il silenzio, la fatica, la poca gente. E, certo, lo ripeto, non si deve salire in montagna avendo come solo scopo il raggiungimento della vetta».
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