Parla l'epidemiologo Merler di FBK: "La zona gialla non ha fatto calare i contagi, l'RT è sempre alto. Servono misure ben più stringenti"

di Giorgio Lacchin

Non ci siamo: l’indice RT (indice di trasmissibilità del virus) in Trentino è tornato sopra quota 1, e questo è un segnale. Lo dice l’epidemiologo Stefano Merler, della Fondazione FBK, uno dei più ascoltati consiglieri del Ministero.

«Affinché si possano allentare le misure occorrono due condizioni».

La prima, Merler?
«Un indice Rt minore di 1».

L’indice che dice quante persone vengono contagiate da un “positivo”.
«Se Rt non è minore di 1, l’epidemia sta crescendo. E questo indice non deve neppure essere troppo vicino a 1, sennò appena “riapri” riparte l’epidemia».

Il ricercatore trentino Stefano Merler, epidemiologo matematico della Fondazione Bruno Kessler, contribuisce al monitoraggio del virus nelle regioni italiane. Merler ha fornito un apporto determinante alla redazione del “Piano sanitario di organizzazione della risposta dell’Italia” all’emergenza pandemica da Covid-19.

Okay, Merler. E la seconda condizione?
«Devono esserci pochi casi giornalieri di contagio. Ciò che abbiamo notato nei mesi scorsi, infatti, è che appena tu “riapri” puoi sperare - al massimo - in un Rt poco sotto il valore 1. Non si riesce, in sostanza, a guadagnare un risultato decisamente inferiore a 1».

E con un Rt vicino a 1 l’incidenza dell’epidemia resta costante.
«E rimangono costanti pure le ospedalizzazioni e il numero dei decessi, purtroppo».

Merler, ha visto cos’ha deciso il presidente del Veneto, Zaia?
«Ho visto».

Ha deciso di chiudere i confini comunali, dopo le ore 14, dal 19 dicembre fino al 6 gennaio. Mica male!
«Guardi, dall’agosto scorso esiste un documento, che è pubblico ed è stato approvato dalla Conferenza Stato Regioni: il Libro Blu».

E cosa c’è scritto?
«Fornisce alle regioni le indicazioni - le forniva in vista dell’autunno - sulla base dei vari scenari possibili».

Le indicazioni sui provvedimenti utili?
«Sulle cose da fare. Sì. E ciò che vuol fare Zaia è proprio un’azione che suggerimmo per le fasi difficili dell’epidemia».

Il Libro Blu lo avete redatto voi della Fondazione Kessler?
«Non solo noi. Anche il Ministero, l’Istituto superiore di sanità, le regioni...».

Insomma, gli strumenti per agire ci sono.
«Ci sono sempre stati. Noi, adesso, stiamo osservando un calo importante della trasmissibilità nelle “zone rosse”. Queste “zone rosse” prima del 3 novembre stavano abbondantemente sopra il valore 1 per quel che riguarda l’indice di trasmissibilità - l’indice Rt -, mentre ora stanno abbondantemente sotto 1. Le “zone gialle” invece...».

Come il Trentino, giusto?
«...le “zone gialle”, dicevo, sono partite da valori più bassi ma purtroppo non sono scese molto sotto 1».

Le “zone gialle”, in pratica, non servono a nulla.
«Calma! Le misure “gialle” non fanno aumentare il numero dei casi; stabilizzano la trasmissione del virus. Dunque non sono inutili. Ma non sono forse sufficienti a far calare in maniera decisa la trasmissibilità sotto il valore di 1, e quindi a fare diminuire per davvero i casi di contagio, le ospedalizzazioni e il numero dei morti».

D’accordo.
«A questo punto i rischi non sono pochi. È possibile che una “zona rossa”, dal momento in cui è passata al “giallo”, veda crescere l’indice Rt fino a un valore vicino a 1. E debba convivere con questa incidenza».

E il rischio per le “gialle”?
«Che debbano andare avanti con l’incidenza che hanno. E poi c’è il comportamento della gente: le regole “gialle” sono sempre le stesse ma c’è il rischio che a cambiare sia l’interpretazione che ne danno le persone».

Dopo settimane e settimane di certe misure può succedere che le regole non vengano più seguite alla lettera come nei primi giorni.
«Ma se ci rilassiamo quando siamo ancora vicini al valore 1...».

È chiaro dove vuole andare a parare. O ci mettiamo in “zona rossa” o non ne veniamo fuori.
«Io dico una cosa: non bisogna fare l’errore fatto a settembre».

Quale errore?
«Non intervenire ai primi segnali negativi».

Dunque?
«Bisogna intervenire rapidamente. Piaccia o no, c’è il rischio che l’indice Rt torni sopra il valore 1. Con questa epidemia, o si gioca d’anticipo o sono guai».

E come si fa?
«Si deve intervenire quando la situazione non è ancora grave, perché se aspetti quel momento è già tardi».

Scusi, Merler, voi di Fbk avete studiato la mortalità causata dal Covid sulle diverse fasce di età?
«Certo. Abbiamo i dati riferiti alla prima ondata».

Può dirci qualcosa?
«In Trentino il tasso di mortalità per infezione è stato del 2,5% complessivo. Ogni 100 infetti, in sostanza, ne sono morti 2,5».

Più di una persona ogni 50 infetti? Scusi, ma è pazzesco.
«È tantissimo. Sì».

E il dato per fasce d’età?
«Lo abbiamo per la Lombardia».

Dica.
«Sotto i 50 anni, un tasso di mortalità pari a zero. Ci sono stati dei casi, lo sappiamo, ma sono stati pochissimi».

Vada avanti.
«Dai 50 ai 59 anni il tasso di mortalità è stato dello 0,46%».

È morto un uomo ogni 200 infetti.
«Esatto. Dai 60 ai 69 anni, dell’1,42%. Dai 70 ai 79 anni, del 6,87%. E sopra gli 80, del 18,35%».

Sta dicendo che tra gli ottantenni infetti nella prima ondata, in Lombardia, ne è morto praticamente uno su cinque?
«Esatto».

Mamma mia...
«Questa è la media. I numeri sono molto diversi tra la prima fase - prima del 16 marzo - e la seconda, cioè dopo quella data. La mortalità negli ultra ottantenni è calata dal 30% della prima fase all’8% della seconda».

Ma in questa seconda ondata starà andando meglio che nella prima, immaginiamo. Siamo più attrezzati, ovviamente.
«Secondo me sta andando meglio, ma l’analisi vera e propria dei dati non è stata ancora fatta».

Lei è molto prudente.
«Si muore ancora per Covid, purtroppo, ma non come all’inizio della prima ondata».

Ci mancherebbe! Ma in Trentino, oggi, siamo sotto quel terrificante 2,5% della prima ondata?
«Penso di sì, ma non abbiamo ancora i dati».

Ultima cosa: la polemica sul sistema di conteggio dei casi positivi, legata all’uso dei tamponi molecolari oppure degli antigenici. Lei da che parte sta?
«L’Istituto superiore di sanità, e quindi, indirettamente, la Fondazione Kessler e il sottoscritto, non hanno alcun compito o potere di sorveglianza. Gli unici responsabili dei dati sono le regioni; noi non possiamo vigilare sulle regioni».

Tutto chiaro. Le regioni comunicano i dati e voi li analizzate.
«Non possiamo far altro che analizzare i dati che ci vengono forniti. Il sistema di sorveglianza integrata è nato per aiutare Stato centrale e regioni a capire ciò che succede, e prendere le decisioni. Posso anticipare, comunque, che tra due giorni verrà cambiata la definizione di “caso positivo”».

In pratica?
«Verrà cambiata per tenere conto dei tamponi antigenici».

 

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