De Gregori a Trento, l'intervista all'Adige
L'artista romano proporrà a Trento, l'8 aprile, i brani del suo nuovo cd, che nel titolo ricalca il celebre libro di Jack Kerouac manifesto della «beat generation», insieme ad alcuni classici della propria produzione. Un live che si annuncia intenso e ricco di emozioni
Francesco De Gregori nel suo viaggio musicale per promuovere l'album «Sulla strada» approderà l' 8 aprile all'Auditorium di Trento . L'artista romano proporrà così i brani del cd, che nel titolo ricalca il celebre libro di Jack Kerouac manifesto della «beat generation», insieme ad alcuni classici della propria produzione. Un live che si annuncia intenso e ricco di emozioni.
De Gregori, «Sulla strada» è stato celebrato come uno dei suoi dischi più ispirati.
«Mentre lo registravamo, ad un certo punto ci siamo resi conto che le cose venivano fuori in maniera molto fluida, che le canzoni si legavano senza fatica. Senza cercare a tutti costi un senso a questo lavoro, abbiamo capito che il senso veniva fuori da solo. Insomma, ci siamo resi conto che questo disco ci stava - posso dire - bene addosso. Che poi il disco avesse successo o meno, sia riguardo alla critica che al pubblico, non potevamo prevederlo ed abbiamo passato molto tempo a chiedercelo. Sono però molto soddisfatto: non è un disco semplice ma è arrivato egualmente alla gente con una certa immediatezza».
C'è un filo conduttore nelle otto canzoni?
«Direi di no. Il mio modo di scrivere non è mai cambiato, o meglio potrei dire che non lo so. Non ho mai avuto una tecnica consapevole, ho sempre scritto le canzoni raccogliendo idee qua e là, lasciandole decantare il tempo necessario e poi collegandole insieme. Ed anche adesso va così».
Dal punto di vista musicale, quali toni o sfumature ha voluto dare all'album?
«Da anni, con i miei musicisti, lavoro per arrivare a una linea povera di suoni. Avevo quindici anni quando i primi gruppi rock, Beatles e Rolling Stones, hanno seminato nella mia testa. Mi piace fare dischi in quella direzione, ma con la semplicità della canzone, con quattro accordi ed uno strumento come nella musica popolare che da ragazzo ascoltavo al Folkstudio di Roma. Mi piace togliere gli stereotipi: del rock come del genere "cantautore", parola che odio, un innesto linguistico sgraziato che evoca un mondo di ragazzetti supponenti, reclini sulla loro chitarra a narrare le loro disperate storie sentimentali».
Fra i brani nuovi più intensi c'è «Guarda che non sono io».
«La canzone parla di qualcosa che succede spesso a chi, per qualche motivo, ha una faccia conosciuta. Ti chiedono di farti una foto, oppure, nel mio caso, vogliono sapere cosa voleva dire una certa canzone. Quindi in questo senso è molto autobiografica. Ma credo che piaccia alla gente (anche a quelli che non hanno il problema di essere riconosciuti per strada) perché ognuno di noi, sotto sotto, sa che gli altri vedono in lui qualcosa che non c'è, o comunque, non è esattamente così. Insomma: un problema di identità, credo, ce l'abbiamo tutti, anche con le persone più vicine. E allora, forse, questa canzone piace perché appunto riguarda un po' tutti».
È piaciuto anche il parlar d'amore di un pezzo come «Showtime».
«Forse è l'unica vera canzone d'amore di tutto l'album. Mi è venuta di getto mentre ero in tour con Lucio Dalla».
I «live» la riportano appunto «sulla strada»: le piace la dimensione dei tour?
«Suonare davanti al pubblico è qualcosa di cui non posso fare a meno. Del resto, ho cominciato così, la maggior parte degli artisti comincia così: è la gente che ti sta davanti a darti dei riferimenti, la misura di quello che fai. Potrei stare anche qualche anno senza incidere dischi, ma non potrei mai stare a lungo senza incontrare il pubblico».
Come ha pensato questo concerto?
«La novità principale saranno alcune canzoni del nuovo disco che a Trento suoneremo dal vivo per la prima volta. Per il resto ci affideremo, io e la mia ormai storica band, agli umori di ogni serata, per catapultare nella scaletta qualcosa di inaspettato, magari qualche canzone molto vecchia, qualcosa che non ho ancora finito di scrivere o qualche pezzo non mio: ultimamente ci piace fare qualcosa del repertorio di Elivis Presley».
È una Pasqua difficile per il nostro Paese: come vede questo momento?
«Non ci possiamo nascondere la gravità di questo frangente. Per quello che mi riguarda, penso che in giro ci sia voglia di reagire. Non mi sembra insomma che questo sia un Paese spento come lo dipingono in molti».