Ad Educa l'esperienza dei libri viventi
Oggi nell’ambito del festival dell'educazione l’incontro, organizzato dalla Fondazione Franco Demarchi, “Dal carcere la biblioteca vivente”, un momento di dialogo con Ulderico Maggi e Francesca Rapanà per promuovere uno strumento che aiuta a superare stereotipi e preconcetti. Ospite anche il "libro vivente" detenuto nel carcere di Bollate, Julian Dosti: "raccontare la mia storia mi aiuta a liberare la mia anima di un peso, mi aiuta a crescere, a diventare più responsabile, ma soprattutto mi permette di condividere il mio dolore con il lettore. Nel momento di relazione non sono più una matricola, un numero come sono in carcere, ma sono una persona".
Un pubblico particolarmente attento ha ascoltato Ulderico Maggi, formatore e consulente pedagogico esperto sui temi di pedagogia interculturale, raccontare l’esperienza dei Libri Viventi, uno strumento educativo e sociale, efficace in tutte le situazioni in cui ci sono pregiudizi, stereotipi e situazioni di esclusione sociale, come quella del carcere raccontato oggi.
Francesca Rapanà, ricercatrice in scienze cognitive e della formazione che collabora con un’associazione che opera all’interno del carcere di Padova, ha ribadito come la pena, per legge, debba tendere alla rieducazione del detenuto per suo un graduale reinserimento sociale. Per fare questo è necessario attivare progetti basati sostanzialmente sulle relazioni umane, come il dispositivo pedagogico dei Libri Viventi, un metodo per promuovere il dialogo, ridurre i pregiudizi e favorire la comprensione.
“Sul carcere aleggiano numerose forme di pregiudizio – ha spiegato Ulderico Maggi – e proprio il pregiudizio è uno degli elementi basilari della Biblioteca Umana. Il secondo elemento sono le narrazioni biografiche e il terzo sono gli incontri tra le persone, le micro-relazioni che si sviluppano al momento”. In sostanza la Biblioteca Umana funziona come una vera biblioteca in cui il lettore sceglie un libro, costituto in questo caso da una persona in carne ed ossa che racconta la propria storia. “Di scritto non c’è niente – ha spiegato Maggi - ma c’è una relazione umana che non esiste nei libri di carta. Ci sono persone che si mettono a disposizione raccontando la propria storia. La biblioteca Vivente sceglie di lavorare sul livello emotivo e relazionale e crea una situazione in cui sono presenti i corpi fisici delle persone coinvolte, quelli del narratore e del lettore, costretti a stare l’uno accanto all’altro. Altri elementi che entrano in gioco sono i luoghi in cui si allestiscono e che possono suscitare diverse emozioni, i temi affrontati, che toccano gli ambiti in cui esistono i pregiudizi, e i tempi. I Libri Viventi durano generalmente una mezz’ora, anche se poi ci son i tempi dell’attesa e della rielaborazione.”
All’incontro è intervenuto Julian Dosti, nato in Albania e attualmente detenuto nel carcere di Bollate, dove si è diplomato e dove si sta per laureare in filosofia. Ha riportato la sua esperienza all’interno del carcere, difficile soprattutto per la convivenza con regole che non sono scritte. “Il carcere alza un muro che non permette il confronto con l’esterno dove è presente il pregiudizio” racconta Julian Dosti.
Da qualche tempo si sta mettendo il gioco come Libro Vivente: “Raccontare la mia storia mi aiuta a liberare la mia anima di un peso, mi aiuta a crescere, a diventare più responsabile, ma soprattutto mi permette di condividere il mio dolore con il lettore. Nel momento di relazione non sono più una matricola, un numero come sono in carcere, ma sono una persona. Attraverso l’esperienza del Libro Vivente si elabora e si crea una forma di responsabilità, che aiuta a far cadere il muro del pregiudizio nel lettore che in quel momento diventa il mio miglior amico”.