Stop a mortandela e luganega Salumi «sospesi» da Slow Food
Due prodotti della tradizione trentina come la mortandela e la luganega perdono il presidio Slow Food. L’associazione internazionale che promuove il cibo «buono, pulito e giusto» ha infatti verificato che, in alcuni casi, la carne con cui vengono confezionati questi insaccati, pur essendo di alta qualità, arriva da fuori provincia. Gli insaccati tipici del nostro territorio - per quanto buoni - secondo il regolamento non possono derivare da un suino lombardo o veneto. Ecco dunque che Slow Food ha ritirato (o meglio «sospeso») il suo presidio. Intanto, altri prodotti locali attendono di ottenere l’ambito riconoscimento che viene assegnato alle associazioni di produttori. In testa ci sono noci, prugne e fagioli.
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«L’assegnazione dei presidi è costantemente monitorata, a garanzia della regolarità dei prodotti che promuoviamo - commenta il responsabile regionale Luciano Bugna - Fondamentale è il lavoro delle cosiddette “condotte”, ossia i referenti che lavorano sul territorio». Il lavoro capillare sul territorio si pone l’obiettivo di coinvolgere le varie attività economiche, affinché allaccino relazioni con i produttori. Agli albergatori viene chiesto ad esempio di proporre agli ospiti alcuni piatti a base di prodotti della terra con presidio «Slow Food», facendo conoscere il lavoro delle piccole aziende aderenti. È quanto avviene nel Trentino meridionale, dove la locale condotta sta favorendo la conoscenza e la diffusione in particolare del broccolo di Torbole (il numero di agricoltori che si occupano di questo ortaggio sono passati da 2 a 5 in pochi anni, per un totale di 100mila piante).
Si punta anche ad incrementare il numero dei produttori del puzzone di Moena, come già accaduto con il casolet, che oggi conta un gruppo forte e motivato di casari. Il nuovo nome del presidio del tipico formaggio solandro prevede la dicitura «casolet a latte crudo»: la vecchia associazione che riunisce i casari sapecializzati era stata chiusa per motivi interni, per poi rinascere più forte di prima, sotto la presidenza di Giulia Bontempelli di malga Alta di Pellizzano: «È stato raggiunto un ottimo equilibrio tra i piccoli produttori e i caseifici di Cercen e di Presanella, rispettivamente in val di Rabbi e val di Sole. Slow Food punta a rendere popolari alcuni alimenti legati alla storia del territorio da almeno un secolo, che altrimenti raggiungerebbero solo gli estimatori».
Da tempo, come detto, è stato tolto invece il presidio Slow Food alla mortandela della val di Non e alla luganega che viene prodotta anche in altri centri della provincia. Con profondo rammarico di Bugna: «I macellai si approvvigionano di maiali non trentini. Il disciplinare prevede invece che il macinato impiegato per i vari salumi arrivi direttamente dal territorio sul quale insiste il presidio. Il quantitativo di prodotto offerto dalle aziende non era giustificato dalla carne che acquistavano dagli allevatori. Per questo è stato assunto il provvedimento di sospensione». L’associazione non ha comminato nessuna multa, ma ha semplicemente impedito ai macellai di utilizzare il marchio Slow Food. «L’auspicio - riferisce il responsabile Bugna - è che si possa ristabilire questo presidio, anche se la situazione appare difficile».
Il futuro di Slow Food in Trentino non si gioca comunque soltanto sugli insaccati prodotti con carne proveniente da fuori provincia. È stato infatti quasi completato l’iter per il nuovo ingresso nella famiglia «Slow» della noce bleggiana, i cui pregi sono riconosciuti a livello nazionale, al pari della noce di Sorrento. La coltivazione di questi particolari frutti appare in crescita, grazie ai nuovi impianti realizzati da una trentina di coltivatori.
«Stiamo anche lavorando per la valorizzazione della mucca di razza Rendena, per la quale l’iter di riconoscimento è da poco iniziato» spiega il referente. Non manca poi qualche altra proposta che arriva dai vari territori: è stato avviato un ragionamento sulla valorizzazione della prugna di Dro e del fagiolo della Valsugana.