No al cellulare alla figlia Lei li porta in tribunale
Il diniego accompagnato da violenza: abuso di mezzi di correzione, condannati i genitori di una sedicenne
Desiderava un telefono cellulare, simbolo di indipendenza ed emancipazione. Lei, 16enne di origini marocchine ma cresciuta in Trentino, chiedeva di possedere quello che tutti i suoi coetanei hanno sin da giovanissimi (i primi cellulari si vedono comparire già alle scuole elementari).
I genitori negavano l’acquisto. Questi ed altri piccoli-grandi conflitti generazionali, ma anche culturali, hanno di fatto portato alla disgregazione del nucleo familiare.
La ragazza ha dapprima trovato rifugio presso un’amica. Poi dopo aver denunciato i genitori, è stata inserita in un alloggio protetto dove si è affrancata dalla famiglia.
Ieri in tribunale a Trento sono stati processati i genitori della ragazza, entrambi difesi dall’avvocato Patrizia Corona. L’accusa era di abuso di mezzi di correzione. In un paio di occasioni il padre della giovane, ora maggiorenne, avrebbe risposto all’ esuberanza della figlia adolescente a calci e ceffoni.
La madre invece è finita sul banco degli imputati per una sorta di complicità morale: secondo l’accusa avrebbe offerto «supporto psicologico» al marito nella sua battaglia persa per tenere fuori dalla porta di casa la modernità imperante.
Entrambi ieri sono stati condannati dal giudice Giuseppe Serao a 8 mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Neppure le maniere forti e le minacce di ritornare in Marocco, però, hanno potuto frenare il desiderio di libertà di una ragazza di fatto italiana.
L’allora esuberante 16enne (i fatti risalgono all’ottobre 2013) ne ha approfittato per lasciare la famiglia e con essa abbandonare un ruolo che le stava stretto (come sorella maggiore le veniva chiesto, tra l’altro, di accudire i fratelli più piccoli).
Da questo braccio di ferro generazionale ad uscire vincitrice è stata la ragazza: ha concluso gli studi conseguendo il diploma e poi ha trovato lavoro in Trentino (dove continua a vivere anche il fratello maggiore).
Il padre invece è tornato in Marocco. La madre invece vive con altri parenti immigrati in una città del Nord Italia con i due figli più piccoli.